Lolito (la sindrome di Peter Pan)

Lolito era un bellissimo bambino che pur non avendo ali danzava
Come fosse trasportato dal vento.
Lui, che non aveva le ali eppur sapeva volare.
Danzava ad onde e come le onde e la luce, esso s’infrangeva nella vita, nella sua vita.
Lolito poi divenne ragazzo a cui le stelle s'inchinavano dinanzi.
Lolito rimase un ragazzo che non voleva crescere.
Divenne alba che non voleva divenire il proprio tramonto.
Lui, un numero primo fra numeri primi che non seppe mai farsi
scegliere.
Avesse un pittore disegnato quelle fattezze, avrebbe sicuramente
raffigurato un angelo ma dagli occhi di un diavolo.
Lolito abitava in paesone dove le anime si quantificano in
soldoni e non vi è spazio per essere sé stessi con le proprie follie.
Lolito amava ballare eppur non ballava più, suonava il pianoforte solo
chiuso in camera sua.
Lolito aveva un'anima immensa ristretta a forza in un esiguo spazio vitale.
Egli era il Golden boy che tutto aveva raggiunto, ma mai niente aveva
stretto a sé, niente gli era rimasto in mano mentre la vita gli scorreva
come sabbia fra le dita.
Lolito faceva le cose che altri volevano che facesse, perché così stava
bene farle.
Le faceva in modo impeccabile mostrando talento e buongusto ma mai
il suo vero pensiero.
Lolito a un certo punto si era stancato di portare il peso di tutta quella gente
addosso.
Aveva tagliato i fili delle mani che lo manovravano e aveva di nuovo
cominciato a danzare.
Lolito aveva trovato la forza in sé, ma solo dopo essere passato
dall'inferno che aveva dentro e averlo imbrigliato. Solo dopo aver
camminato per le aride alture del suo modo di vivere.
La rinascita di Lolito fu merito di due donne che si erano susseguite
nella sua vita.
Terry, anima libera che tutto si lasciva fare tranne
che afferrare, e Cele, che niente si lasciava fare ma pur restava.
Lolito amava Milano e i suoi parchi, amava gli spazi larghi, la gente,
amava sedersi su di una panchina e veder brulicar la gente, perdersi nel
loro vociare. Questo dava animo ai suoi pensieri più intimi, era come
lasciarli andare, farli correre a briglia sciolta.
In quei momenti non era più Lolito, era semplicemente sé stesso,
magari ancora bambino che guardando un fiore sorrideva
oppure un giovane uomo che si perdeva nella bella linea di una coscia,
senza sentirsi dire: «Ma che fai, ma che guardi, non perder tempo
Lolito, tu e tuoi perenni sogni, dai che è tardi!!» Questa era la voce di
Angelica la moglie, che molto tempo fa aveva sposato. Angelica non era
stata sempre così, Angelica una volta era benzina sul fuoco, era aria nei
polmoni. La vita sgretola tutto, sgretolò pure lei e a Lolito lasciò solo le
briciole di quel grande amore che era stato il loro. Niente è per sempre
ma se resta qualcosa deve pur dare e a Lolito dava solo una gran
quantità di confusione.
Pochi se non nessuno sapevano che più era luminoso il sorriso di Lolito
più egli soffriva. Più spingeva il proprio humour e più la morte era in lui.
Come un vecchio pagliaccio che rideva di sé stesso facendo consumare
le mascelle al pubblico pagante e trasformandolo, loro malgrado, in
cannibale. In quel tratto di vita era luminosissimo come una stella che
cerca il suo cielo per implodere.
Quando vide Terry capì che qualcosa era cambiato in lui e la
ricerca interiore s'interruppe in quello che fu un elettroshock motivo.
Terry vista da altri era una semplice ragazza, non certo un cult di
bellezza e fascino eppure ispirava sesso ed è questo che attirò Lolito nel
suo vizioso giro di night club. Con essa Lolito sperimentò il sesso, quello
sfacciato, quello senz'anima, quello che tutto vuole e tutto prende
senza mai dare ne conto ne resto.
In pratica il contrario della vita ordinata di lui.
Una nuova vita tutta da ballare.
Con lei aveva ancora quindici anni e il passare del tempo non lo
sconvolgeva ancora così tanto. Il passare del tempo poteva essere
vissuto ancora e lui poteva ripercorrere passo dopo passo la sua
esistenza. Con lei poteva ballare per ore senza stancarsi mai di quelle
gambe snelle e lisce. Poteva giocare per ore senza che lei ponesse fine
al divertimento. Sembrava che le andasse bene sempre tutto.
Con il tempo coprì che non era così, a Terry non andava sempre
bene tutto, con lei non potevi farci discorsi seri per almeno un paio di
minuti. Si annoiava, non era pronta. Semplicemente non aveva risposte
da dargli. Almeno quelle che lui cercava nella vita. Terry mostrò i
margini di una vita superficiale basata sull'astratto mondo fisico poco
reale o pratico. I loro incontri si diradarono finché la musica finì e Lolito
non ballò più con lei.
Non ballò più con nessuno.
Lasciarla fu la cosa più naturale e autodistruttiva che potesse esserci.
Lolito si arrese alla vita e per mesi mangiò poco e niente.
La notte era caduta su di lui e il buio gli faceva paura.
Lolito camminava nel buio e non c’erano stelle che lo illuminassero.
Lolito a testa giù nell'acqua con una voce che chiamava
E diceva: «Non balli più con me??» ed egli non si muoveva e non respirava
nell'acqua.
Avrebbe voluto risponderle ma la voce non usciva.
Avrebbe voluto gridare ma giaceva immobile con gli occhi sbarrati.
Gemeva ma non si ritraeva dal male.
Lolito è luce, è fuoco e non sapeva cos'era il buio.
Adesso che l’aveva conosciuto, adesso che vi era entrato dentro
aveva paura anche di sé stesso.
Al buio non trovava una via di fuga, non vi erano fessure o spiragli.
Allora cadeva sulle proprie ginocchia stanche
e avrebbe voluto piangere ma non poteva perché gli occhi avevano smesso di vedere in quel buio profondo.
Profondo e freddo.
Lolito era sempre stato solido eppur non aveva forza, non aveva spirito.
Tremava la terra sotto le sue gambe. Tremava lui. Tremava tutto.
Uscì dall'acqua ed il sole lo seccò fino a divenire sabbia.
Sabbia che scivolava tra le dita, come la sua vita stessa.
Lolito era trasparente eppur non vola più, non giocava come una foglia nel
vento, come fosse una farfalla libera nel cielo.
Lolito ora sedeva nel buio di casa sua e taceva.
Lolito avrebbe voluto morir eppure non si dava pace.
  «Chi sei tu? Che mi guardi dal buio di nascosto?» Gridò Lolito alzando lo
sguardo.
  «Nessun davvero» disse lei avvicinandosi e lasciando che la luce in lei
illuminasse il luogo.
  «Non ho bisogno che di pace, che vuoi da me strana fanciulla??» Lolito
riprese ad appoggiar la testa sulle sue gambe stanche.
 «La tua anima mi ha chiamato, ed eccomi qui per te» disse lei
porgendogli una mano.
 «Io ora ti riconosco, sei quella sconosciuta che tanto sconsiderata da
credermi buono. Non sei bella, e neanche ricca, hai una lingua più
tagliente del fuoco e più velenosa della vipera stessa!! Potrei io fidarmi
del mio istinto? Non sei tu la mia felicità, non vali più dell'altra»
  «Marcisci qui, oh mio bel signorino, la vita ti offe una possibilità e tu la
snobbi come se ne avessi altre dinanzi, conosco io le tue pene, perché
le ho lette nei tuoi occhi stanchi, il tuo peregrinare mi ha attraversato
da parte a parte e sono giunta fin qui da parti distanti perché tu avessi
calore e sostegno e perfino amore!!» ella incrociò le braccia e lo fissò
ribelle.
«Come vedi nel buio tu? Perché fai tanta luce? Non senti freddo vestita
così da niente?»
  «Sono abituata al buio profondo, non lo temo, e la luce è la mia anima
che mi guida, è la tua paura che ti fa sentir freddo, nient'altro che
paura» Lolito la guardò severo.
  «Che ne sai tu della mia paura e della mia vita. Smetti di innalzarti ad
insegnante»
  «Dammi la mano Lolito, esci dal buio tu sei luce! Tutto in te emana
energia. Anche quando tutto è buio anche quando tutto tace. Tu
risplendi come solo tu sai fare ed insegna alle stelle come brillare,
insegna alla luna come amare, insegna al vento come vivere. La sabbia
scivola fra le dita ma costruisce castelli bellissimi per chi ci vive» disse
lei spegnendo la luce.
Cele rimase per un po' nei pensieri di Lolito, quel tanto che bastava per renderlo sereno,
per rendere dritti i suoi passi. Lolito rimase lì convinto che forse ne valesse
la pena di accendere la luce, ma non credeva in quel sogno suo dove lei
dandogli l'esile braccio ballava con lui e tutte le luci erano accese.
Tutto era perfetto.
L'avrebbe fatto sì quella cosa bellissima di accendere la luce e rivedere
il suo buffo viso ma forse non oggi e forse neanche domani.
Forse un giorno.
Sì, un giorno l'avrebbe sicuramente fatto. Avrebbero ballato insieme e
lui sarebbe stato all'altezza di portare lei.
Quando la pensava tutto si faceva chiaro e distinto e la sua luce vibrava.
Solo che Celeste vedeva in lui un Lolito che non esisteva, Un Lolito serio,
responsabile, fedele. Un Lolito che i sogni di una vita li realizzava non
ne faceva stelle filanti per il suo fantasioso show.
Celeste non voleva ballare con lui e questo lo distruggeva.
Ritornò dalla sua Terry per trovar conforto ma lo star in mezzo a tutte quelle luci artificiali gli diede la nausea e un leggero senso di freddo.
Al suo buio interno accese la luce solo per un attimo ma quel tornare indietro
aveva annullato ogni speranza futura Celeste non c'era più ed ora di nuovo
solo.
Lolito camminava lungo le vie più tortuose del suo cuore, la vide vicino ad
un ulivo ma su quell'ulivo non vi era rugiada ma sangue sperso.
Lei, Celeste stava lì appoggiata al suo ulivo e allora lui gli si appoggiò
contro e gli tenne la mano e spargendo pure il suo sangue assieme a
quello di lei. Lei era fragile nelle braccia di lui, aveva perso ogni vigore,
ogni insolenza.
Lolito chiuse gli occhi e appoggiò la testa vicino a quella di lei, ora
avrebbero ballato per l'eternità senza più nessuna paura che il tempo
gli avrebbe interrotti o considerati sbagliati.


Quando ho scritto Lolito, pensavo ad un uomo con la sindrome di Peter Pan, uomo fatto di luce che aveva paura del buio e della crescita che porta la vita. Un uomo che per accettare in sé il buio doveva fare scelte dolorose e vivere le proprie conseguenze. Un uomo che non si è mai arreso se non a se stesso.

 Ma entrando nel dettaglio ho trovato questo articolo molto bello, lo copio incollo:

Un fenomeno che tenta di descrivere la fatica del crescere, di modificarsi, di vivere il tempo secondo l'inesorabilità del suo avanzare ed evolversi, porta il nome di sindrome di Peter Pan. È una «sindrome», cioè un insieme di manifestazioni riconducibili a un contesto unitario [14]. Di cosa si tratta?
È il rifiuto di crescere. Un fenomeno in espansione anche dal punto di vista generazionale, tanto da occupare l'intero arco della vita dell'uomo.
Questa situazione di «stallo interiore», di impossibilità di passare alla fase adulta della vita, è stata, come detto, recentemente ratificata anche come categoria psicologica (sindrome di Peter Pan, appunto), ad opera dello psicologo junghiano Dan Kiley, che si ispira al celebre romanzo di James Barrie Peter and Wendy, pubblicato nel 1911, anche se poi ha acquistato maggiore celebrità il titolo scelto per la sua rappresentazione teatrale del 1904: Peter Pan o il ragazzo che non volle mai crescere.
Peter Pan è un ritratto del nostro tempo in cui si può considerare la categoria dell'adolescenza (fase della vita in cui ci si prepara a diventare adulti, capaci di generare ed educare altri esseri per renderli autonomi e responsabili) come una condizione in cui si vorrebbe rimanere ancorati per tutto il corso dell'esistenza.
È un sintomo di generale crisi della civiltà, segnata, in particolare dalla scomparsa dell'adulto, della sua figura di riferimento.
Un esempio all'insegna della paura di crescere è quello riportato dal testo di Giovanni Cucci, dove si descrive un dialogo tra una madre e il proprio figlio:

- Su Filippo, svegliati, sono le 7, la colazione è pronta, i vestiti puliti sono sulla sedia, ti ho spazzolato le scarpe e preparato la cartella: sbrigati altrimenti arriverai in ritardo a scuola, come al solito.
- Mamma, non voglio andare a scuola! Mi annoio da morire, le merendine al bar sono disgustose e tutti i bambini mi prendono in giro.
- Smettila di protestare e preparati per uscire. Hai tre buoni motivi per farlo. Primo, perché è tuo dovere; secondo perché hai 50 anni e terzo perché sei il preside [15]

Il dialogo descrive una perdita di attrazione e, quindi, di valore verso la crescita e il raggiungimento dell'età adulta. In questo contesto molti sono gli elementi del disagio. La mancanza di capacità di misurarsi con il tempo, di viverlo come luogo del dinamismo aperto verso un futuro, viene detto anche come effetto della mancanza del padre. A questa figura si richiama un ruolo educativo, una figura di riferimento e di sicurezza necessaria, di simbolo del divenire. Dal rifiuto del padre-padrone alla sua mancata sostituzione, di cui la scomparsa progressiva di una significativa dimensione della religione dallo scenario culturale, rappresenta una fondamentale parte.
Il puer aeternus che vive nel potente miraggio di prendere il volo e sfuggire all'opprimente realtà, racconta una crisi di credibilità non forse di valori, ma di coloro che sono chiamati a trasmetterli. Quando il puer aeternus si confronta e scontra con i limiti e le responsabilità, diviene insicuro circa il suo valore e le sue capacità, mettendo in dubbio se ce la farà.
Da questo deriva il ricorso alla fantasia e lo sfuggire dalla realtà per un mondo costruito su fantasie di onnipotenza infantile. Ne consegue il blocco dello sviluppo, le insoddisfazioni, i comportamenti a rischio, le fughe varie comprese quelle del suicidio. Qualche autore afferma che tutto questo è una conseguenza della paura del futuro [16]. Infatti la sanità psicologica mostra un'apertura e una disponibilità al futuro, differenziandola con la depressione, quale tendenza a rimanere raccolti nel passato e atteggiamento maniacale concentrato nel presente.
Quando il futuro chiude le porte, le iniziative sfuggono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce e l'energia vitale implode.
In genere tutto questo si presenta come un'invocazione di aiuto, che chiede di essere ascoltata. In questo quadro trovo una definizione dell'esperienza del tempo, per cui il rapporto tra generazioni esprime la concretezza di tale esperienza.
La definizione chiara della figura paterna, il non sconfinamento delle identità poste in fasi diverse, questo può essere una garanzia di crescita, evitando la fissazione nelle varie e differenti fasi, nonché l'assicurazione nel definire la propria personale identità e la capacità educativa di ogni generazione nell'accompagnare a dare vita.
L'adulto che definisce simbolicamente la figura paterna dovrà essere capace di accompagnare il figlio verso l'età adulta, con la propria benedizione che è un insieme di autorità e tenerezza. La benedizione del padre è un bisogno anche tipico del figlio, ma anche del padre stesso. Se viene a mancare, il bisogno rimane insoddisfatto.
L'identità di Peter Pan è un ritratto del nostro tempo: giovani, adulti, adolescenti che vivono in un contesto di mancanza apparente di norme e di limiti, dove tutto sembra un diritto, un dovuto, rifiutando la fase dell'esistenza in cui si è chiamati ad assumere le proprie responsabilità. In qualche modo si può dire che ciò è immagine di un contesto senza l'adulto che è capace di paternità. Questo lo vediamo in vari esempi: qual è l'immagine della figura dell'adulto?
Quello de-responsabilizzato delle soap opera, dei telefilm, alla ricerca di avventure, dimezzato, dell'esasperazione del sentimento. In figure mass-mediatiche ci sono adulti che non lavorano, non allevano bambini, non fanno politica, non hanno tradizione e non hanno la capacità di pensare al futuro. Una forma di infantilismo. Si sta perdendo una generazione, un'occasione di vita, per dare vita.

7. Conclusione

Ho cercato di cogliere la categoria del tempo, componendola con le dimensioni della vita, espressa nelle varie fasi delle età della vita. Al di là di ogni divisione cronologica, grazie alle quali possiamo parlare di diversità, di consapevolezza di tempi diversificati, di passaggi di stagione, di fine e di inizio di cambiamenti, si fa presente l'elemento della continuità. Cambiamento e continuità. Diversità di fasi e unità di consapevolezza.
In questo contesto vorrei declinare alcuni parametri a partire dalla concreta esistenza in cui la vita prende forma.
1. Il tempo è «l'indicibile» espresso nella manifestazione delle esperienze e del fluire di esse. Esso è uno spazio in cui si verifica continuità e novità, stabilità e cambiamento.
2. Il tempo è il luogo della definizione della nostra identità, intesa come unità e pluralità. Ogni fase della vita ha il proprio carattere e il proprio valore e non si lascia dedurre né da quello presente, né da quello seguente. Eppure ogni fase della vita è inserita nella totalità, ottenendo senso se inserita nel tutto. Non considerare la tipicità di ogni fase o creare invasioni di campo può essere causa e occasione di disagio. Il tempo della nostra esistenza va considerata come un tutto [17].
3. La cristallizzazione in una stagione della vita, così come abbiamo cercato di descrivere, assume i caratteri della rinuncia. Si tratta di una fissazione dell'identità. Con la negazione del divenire, con la dissociazione da se stessi, si nega la propria umanità, che può essere definibile solo mediante i cambiamenti.
4. Tempo e generatività sono categorie inscindibili. È dato un tempo per poter generare, per divenire capaci di dare vita. Si potrebbe dire che viviamo il tempo quando generiamo ad altra vita. Anche nell'ambito educativo offriamo significati, donando orientamento nel tempo. In particolare l'adulto è tale se genera altra vita, cioè se genera la capacità di stare nel tempo. La consistenza dell'adulto è nella responsabilità che permette all'altro di alimentare in sé la capacità di stare dentro la vita.
5. Come adulto, infine, generare significa rimanere nel coraggio della fedeltà al tempo che non è dato per dare continuità a se stessi, ma a nuova vita. Questa è anche la benedizione.

NOTE

1 Cf. M. RECALCATI, Dove sono finiti gli adulti?, in «la Repubblica», 19 febbraio 2012.
2 D. KILEY, The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown up, Avon Books, New York 1984 (tr. it. Rizzoli, Milano 1985).
3 Ad es. M. GAUCHET, Il figlio del desiderio. Una rivoluzione antropologica, Vita e Pensiero, Milano 2010; A. OLIVERIO FERRARIS, La Sindrome Lolita. Perché i nostri figli crescono troppo in fretta, Rizzoli, Milano 2008; F. LADAME, Gli eterni adolescenti, Salani, Milano 2004; EM. CATALUCCIO, Immaturità. La malattia del nostro tempo, Einaudi, Torino 2004; A. PHILIPS, I «no» che aiutano a crescere, Feltrinelli, Milano 1999; J.P. BOUTINET, L'immaturité de la vie adulte, PUF, Paris 1998; N. POSTMAN, La scomparsa dell'infanzia, Armando, Roma 1984.
4 I. BERNARDINI, Bambini e basta. Perché non dobbiamo dimenticare che i grandi siamo noi, Mondadori, Milano 2012.
5 ARISTOTELE, Rethorica, II, 12-14, 1388 b-1390 b (ed. it. Retorica, a cura di M. DONATI, Mondadori, Milano 1996). Mentre la giovinezza pecca per eccesso e la vecchiaia per difetto: «Tutte le qualità utili che la giovinezza e la vecchiaia posseggono separatamente, gli uomini maturi le hanno entrambe; e, per quanto riguarda gli eccessi e i difetti, essi li hanno nella misura adatta e conveniente».
6 Si veda, ad es., M. RECALCATI, Cosa resta del padre? La paternità nell'epoca iperrnoderna, Raffaello Cortina, Milano 2011; C. RISÉ, Il padre. L'assente inaccettabile, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003.
7 R. BODEI, Generazioni. Età della vita, età delle cose, Laterza, Roma-Bari 2014, 5.
8 G. SORIANO, Malomondo, Fazi Editore, Roma 2013.
9 Cf. BODEI, Generazioni, 15.
10 F. STOPPA, La restituzione. Perché si è rotto il patto tra le generazioni, Feltrinelli, Milano 2013.
11 BODEI, Generazioni, 19.
12 Cf. ibid., 47.
13 Ibid., 50-51.
14 Cf. RECALCATI, Dove sono finiti gli adulti?
15 G. CUCCI, La crisi dell'adulto. La sindrome di Peter Pan, Cittadella, Assisi 2012, 6, che riporta un testo presente in T. RADCLIFFE, Perché andare in chiesa? Il dramma dell'eucaristia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009, 9.
16 Cf. M. BENASAYAG - G. SCHMIT, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2005.
17 Cf. R. GUARDINI, Le età della vita. Loro significato educativo-morale, Vita e Pensiero, Milano 1986, 88-89.

Colonna sonora

Se ti avessi, lo sai
Capirei la mia vita
Scoprendo dentro di me
Con il senno di poi
Che ogni scelta sbagliata
Mi conduceva da te
Così mi immagino già il tuo sorriso
E vedo accendersi noi
Allo stadio, in un bar, in un gesto affettuoso
Che non ci capita mai
Vorrei regalarti un cielo d'agosto
Che fa da cornice a una stella che va
Un sole nascosto che nasce da dentro
E disegna il confine della tua libertà
Quel suono leggero di un nome importante
Le ali di un uomo volante
Per non nasconderti mai
Dietro ai rimproveri miei (dietro ai rimproveri miei)
E se tu fossi qui avrei anche il coraggio
D'innamorarmi di lei
Per parlarti così, come infatti già faccio
Anche se non mi ascolterai
Però saresti il mio unico orgoglio
La rondine che torna da sé
Vorrei regalarti un mondo diverso
Che ha fatto la pace con la sua crudeltà
Quel giusto rimorso che nasce sbagliando
E conferma la forza di ogni fragilità
L'anarchico istinto di un cuore migrante
Le ali di un uomo volante
Per arrivare più su (e cercare la tua margherita)
Di questa piccola vita
Dove più vero sei tu (evitando ogni strada sbagliata)
Io vorrei regalarti l'infinito che dà
Quel tenero abbraccio di un padre sognante
Che è come un uomo volante
Anche se tu non verrai (anche se tu non verrai)
Saprà nel cuore chi sei (saprà nel cuore chi sei)
Io questo spero e vorrei
Fonte: LyricFind
Compositori: Giuseppe Dati / Goffredo Orlandi / Marco Masini
 

 

[Intro]
Rollen im Jeep durch die ganze Stadt bis nachts in der Hood
Jagen dein'n Kiez durch die ganze Stadt bis nachts in der Hood
Cops patroullier'n durch die ganze Stadt bis nachts in der Hood
Brüder bunkern Ott im Busch, Nase voll mit Schnuff, Dicka Kopf kaputt

[Hook]
Lolito, glaubst du mir nicht?
Wir sind Kids von der Street, nicht von Hollywood
Nachts unterwegs auf der Jagd nach dem Haze mit den Amigos
Schmerzen vergeh'n, unsere Narben entstehen nicht von Moskitos
Leb' wie ein Lolito
Stapel grün, gelb und lila

[Part 1]
Waffenschieber, Großverdiener, in meiner Welt
Wirst du nicht mal mehr ein Dealer, ein Dealer
Koks wird gestreckt, dann wieder, dann wieder
Rotlichtgeschäft, Janina, Janina
Kids klappern Türen von Rockern ab
MCs werden gesucht bis nach Rotterdam
Hoodleben schmeckt in der Sommernacht
Aus dem Nachbarn sein Fenster pumpt „Makadam“

[Bridge]
Akhi, egal wo ich bin, ich zieh' die Straße magisch an
Bullen sind aktiv im Kiez, zivil mit Blaulicht an
Jungs sind auf Wodka
Polizei fängt sich ein'n Knockout durch Schocker
Messer gegen Axt, Streetfight ist kein Boxkampf
Blei folgt auf Tokat, wir leben la vida loca
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[Hook]
Lolito, glaubst du mir nicht?
Wir sind Kids von der Street, nicht von Hollywood
Nachts unterwegs auf der Jagd nach dem Haze mit den Amigos
Schmerzen vergeh'n, unsere Narben entstehen nicht von Moskitos
Leb' wie ein Lolito
Stapel grün, gelb und lila

[Part 2]
Loca vida, grün, gelb, lila
Auf dieser Welt bleibt dir nichts außer Familia, Familia
MMFK, stabiler, stabiler
Mein Rücken trägt [?]
Türen aufbrechen mit dem Brecheisen
Knast in Kauf nehmen wegen Geldscheinen
Alles rausnehmen, in den Benz steigen
Bullen sehen nichts außer Gangzeichen

[Bridge]
Akhi, egal wo ich bin, ich zieh die Straße magisch an
Bullen sind aktiv im Kiez, zivil mit Blaulicht an
Jungs sind auf Wodka
Polizei fängt sich ein'n Knockout durch Schocker
Messer gegen Axt, Streetfight ist kein Boxkampf
Blei folgt auf Tokat, wir leben la vida loca

FILM COMPLETO

 
Audiopoesia
 
 Certo che ti farò del male.
Certo che me ne farai.
Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera, significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi presenza, significa accettare il rischio dell’assenza.

 
Audiolibro


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