In questo racconto ci sono tre personaggi con tre caratteri diversi. Gianni che vorrebbe fuggire via ma finisce fra le braccia della Piccionessa. La Piccionessa che infondo vive e lascia vivere. Non le importa del giudizio del prossimo e fa quel che vuole. Anita, ragazza di paese, che sa di terra e mare, troppo ingenua per il suo Gianni ma perno di ogni suo decisione fra giusto e sbagliato. Ognuno dei tre, come gli altri personaggi che fanno da contorno, la ragionano a modo loro e non credo ci sia un modo giusto o sbagliato di ragionare. Ognuno è figlio (certe volte vittima) del proprio retaggio culturale.
«Anita …» Cercavo parole che non volevano essere trovate, lei mi guardava serrando le mani in tasca.
Anita sapeva di mare, di terra. Non profumava era semplicemente l'essenza della sua terra, qualcosa di meraviglioso da respirare.
Aveva gli occhi da cerbiatta con quella faccia buffa tutta bocca. Non credo che esista nessuno al mondo, che conoscendo Anita Latino, non abbia desiderato almeno una volta baciare quelle sue deliziose labbra.
abitate da poco una terra antica, dipinta con le tibie di albe greche, col sangue di chi è morto in Russia, in Albania.
Avete dentro il sangue il freddo delle navi che andavano in America,
le grigie mattine svizzere dentro le baracche.
Prima il mondo filava le sue ore lentamente e ogni scena era per tanti, tutti insieme nel pochissimo bene che c’era e nel male che
aveva il suono sotto le coppole e le mantelle nere.
Era la terra dei cafoni e dei galantuomini, era il sud dell’osso, era un uovo, un pugno di farina, un pezzo di lardo.
Ora è una scena dissanguata, ora ognuno è fabbro della sua solitudine e per stare in compagnia si è costretti a bere, a divagare nel nulla, a tenersi lontani dal cuore.
È uno stare che non contesta niente, ma è senza pace, senza convinzione.
Ora non vi può convincere nessuno. Dovete camminare nel mistero di questa epoca frivola e dannata, in questa terra che muore e che guarisce, dovete stare nelle crepe che si sono aperte tra una strada e l’altra, tra
una faccia e l’altra, tra una mano e l’altra.
Tutto è spaccato, squarciato, separato. Sentiamo l’indifferenza degli altri e l’inimicizia di noi stessi.
È una scena che non si muta in un solo giorno, ma è importante sollevare lo sguardo, allungarlo: la rivoluzione del guardare.
Uscite, contestate il vomito invecchiato su una mattonella a cui si è ridotta la politica.
Contestate con durezza i ladri del vostro futuro: sono qui e a Milano e a Francoforte, guardateli bene e fategli sentire il vostro disprezzo.
Siate dolci con i deboli, feroci coi potenti.
Uscite e ammirate i vostri paesaggi, prendetevi le albe, non solo il far tardi.
Avvolgete con strisce di luci le ombre in cui dimorano i vostri nonni.
Vivere è un mestiere difficile a tutte le età , ma voi siete in un punto del mondo in cui il dolore più facilmente si fa arte: e allora suonate, cantate, scrivete, fotografate.
Film tratto da una storia vera di una donna del sud, la nonna del protagonista, Massimo Previtero, vissuta nel periodo della seconda guerra mondiale che racconta le sue vicissitudini al suo caro nipote attraverso una lettera che troverà anni dopo la sua morte.
Un film girato con pochi mezzi a costo zero e con attori non professionisti che si cimenatno per la prima volta davanti alla telecamera ad eccezione di Massimo Previtero.