Il perché dovresti scrivere una lettera!

 Racconto

 Caro amico,

oggi non lo so, per chi è volta la giornata. Qui fra pagine virtualmente bianche, vi si annotano pensieri digitali mortalmente vivi e presenti. Ognuno volge il proprio dire o non dire a qualcosa e qualcuno. E questi pensieri son come bolle di sapone, colorate e caleidoscopiche miniature di vita. Vita che come viene, come fosse vapore, poi scompare lasciando aloni colorati del suo passare. Le bolle son come le farfalle nello stomaco solo che non hanno messo le ali, come l'immaginario comune vuol disegnare il sentimento.
Quindi, per chi sono le nostre belle bolle di sapone, di questo tenue pomeriggio? Forse son destinate, solo a chi, non guarda indietro, ma avanti e a 36o° gradi, se no, come farebbe a vederle davvero tutte quante, queste bolle colorate d'aria acqua e sogni?
Per chi sono le mie bolle? Difficile dirlo, difficile davvero, in parte, mio dolce amico, son anche tue. Le vedi quelle striature che dal rosa tendono al blu? Ebbene quelle sono le tue parti nobili, che le parole non san descrivere, che la ragione preme che si identifichino ma che rimarranno tali perché è la tua natura che da colore e incide in esse. Ti immagino, come fossi un bambino curioso vorresti vederle, vorresti perfino toccarle. Ma come non si tocca l'amore, l'intrinseco sentimento dell'animo umano, nemmeno questi nostri pensieri posso essere toccati. Se ora, volgi le tue bolle al presente e guardandoti dentro esse, ci vedrai il futuro ed accanto a te le persone che ti vorranno davvero bene, che daran colore alle tue bolle. Non dubito sulle bolle del passato. Ma esse se ne sono andate come fa il tempo e se ritorneranno sapranno solo di cose antiche. Ora, scrivimi tu, per chi si sono son colorate le tue bolle oggi? Aspetto tue notizie. Sempre Tua Nina.


Caro Amico,

Eccoci ad un nuovo giorno. Giorno nuovo vita vecchia. Oggi ho guardato proprio in profondità le tue bolle più belle. Tutti i loro colori e le loro rotondità della superficie. Mi sono apparse come simili alle mie, certo più belle. E credo non ci voglia tanto a super le mie.
Mi sono fermata a riflettere su di loro ma quando il cuore è un caos non è che puoi riflettere davvero. Le mie bolle stanno e basta, oggi è così, e mi verrebbe voglia di bucarle una per una fino all'estinzione di esse. Dici che si può? Io sono dell'avviso che tutto si può, bisogna vedere però se anche conveniente farlo. Con il senno di poi, intendo. Perché io credo che ci sia un tempo per tutte le cose e che un giorno ci sarà pure me, una persona che apprezzi le mie bolle, esattamente per come sono. Esattamente per la loro consistenza, il loro colore, le dimensioni.
Qualcuno che le prenda perché ciò è la cosa più normale che egli possa fare oltre respirare.
Le amerà e le custodirà dentro se, come se fosse un tesoro inestimabile. Quella persona coltiverà la voglia di veder insieme le nostre bolle diventare una sola bolla, grande potente e forte e ne sarà felice dal profondo. Imparerò a conoscere le sue e non ne avrò paura. Non avrò paura di svelarmi complicata, eccessiva e non altezza della situazione. Non piangerò per questa persona, se non di felicità. Riguarda le tue bolle e sii felice di aver qualcuno che sappia amarle come se fossero sue. Non sempre è così. Quasi mai lo è. Aspetto sempre tue notizie. Sempre tua Nina.


Caro amico,

sembra che il tempo ci abbia abbandonato, nascondendo i resti di noi stessi in un altrove spazio temporale nascosto dalla realtà.
Amico, dove sei finito? Non avevi tu paura del buio, dell'immenso, dello spazio?
Amico, la tua mano scrive lenta sulla mia anima, come a dare svogliatezza a questo gesto fra noi.
Le tue bolle oggi non brillano, già più come prima, nel silenzio che ci avvolge.
Fa freddo in questo attimo, fa freddo già da un po', fa freddo da quel nostro giorno nostro, dove lasciammo che la tua strada non fosse già più la mia.
Le mie bolle han perso colore, lucentezza e ragionevolezze. Non sanno più volare la dove son fatte per andare. Mi stanno dentro e li scoppiano ad interno dilaniando tutto ciò che toccano.
Un masso di pensieri essi sono, pesanti più di sassi, e dell'arcobaleno non hanno più colore e il loro sapore sa di lacrime salate ma ormai freddo.
Ma onestamente dove è che esse possono andare? Dov'è il buio più profondo che infrange il colore? Cosa muove il mare? Perché esso ritorna sempre e sempre già mai stanco del suo andare? Dov'è la fine dell'arcobaleno che racchiude e schiude tutti i colori? Dove sei adesso tu?
Il buio mi appartiene ma tu sei fatto di luce e alla luce io non ti vedo più.
Dov'è che io posso mandarti le mie più belle bolle?
Manda via le nuvole inquiete e insegnali a volare, si son fatte troppo maestre, e noi abbiamo bisogno di spazio, fuoco e cielo. Fuoco per vederle, cielo per farle volare, spazio per muoverle fra me, il mandante, e te, il ricevente. Aspetto solo bolle di speranza da parte tua. Sempre tua Nina.



Caro amico,

ieri ho sentito la tua voce, che da tanto non sentivo. L'ho sentita nelle orecchie, ho chiuso gli occhi e ti ho immaginato. Te che parlavi, con il tuo accento, le lievi inflessioni che io conosco. Mi sono messa a cercar qualche difetto ma nulla era più armonioso e soave. Una bella bolla immensa, questa volta ho fatto, ma non di sapone ma di amore. Quello resistente, quello che si avvicina al per sempre.
Sono diventata una piagnucolona amico caro, la vita mi si è fatta pesante ma tu l'hai resa più leggera anche se per poco. Mi spiace di averti caricato, senza esitazione, come se dentro di me ci fosse l'ostinazione di forzare il tuo modo di agire.
Sono stata cattiva e disattenta, mi ero chiusa in me, poi mi hai chiamato ed io ho reagito come d'istinto. Buttandoti addosso il mio volere, come se fosse il tuo dovere.
Ti ho risposto come potevo, disconnettendomi di contino dal senso delle tue parole al mio seguire il senso della tua voce. Dal vedere le tue bolle così accanto. Dal entrare perfino d'entro di una d'esse e poter volare lontano. Questione d'istanti. Ma alcuno istanti valgono una vita, amico mio importante.
Mi hai detto di preservarmi, che infondo tutto passa se io sto in forze. Volevo risponderti che la forza me l'hai dai tu, ma le parole in gola non sono uscite, e se mi fossi sciolta, ti avrei pure raccontato una bella storia che riguarda i tuoi doni. Avrei fatto battute finché non ti fosse scappata qualche risata ma avrei dovuto ammettere cose di cui non so se eri pronto ad ascoltare. Parlami ancora e portami sempre nelle tue bolle più belle. Tua Nina, sempre.


Caro amico,
Devo dedurre, da quello che ho letto su di te, che ti devo ora considerar pure trasparente. Come se le tue bolle fossero vano vapore, che come viene pur se ne va.
Faccenda strana il tuo intelletto, tante volte mi ci sono trovata in mezzo e pure ancora fatico a orizzontarmi se non chiudendo gli occhi e seguendo l'istinto.
Dentro hai un casino di bolle racchiuse in zone d'ombra dove la gente per distrazione non guarda mai e tu lì collezioni le migliori, indisturbatamente.
Le tue debolezze, le tue distrazioni, il tuo malessere dell'animo io non posso far cessare, migliorare, curare. Né io né altri. Solo tu crei le tue bolle. Sai di cosa son fatte e come fanne altre di spessore migliore.
Le regole le conosci pure tu.
Se un amico mi chiede di prendere una certa distanza, io per affetto lo faccio, non si offenda se poi ci manchiamo fino a farci male con le bolle acide della cattiva via della vita.
Comunque diverrò una bolla d'aria leggera e trasparente e lontano da te scoppierò.
Vorrei terminar questa lettera con il dirti che non aspetterò più tue notizie, invece sarebbe una bugia. Aspetterò senza chiedere, trasparente e impossibile come la morte. Sempre tua Nina.



Caro amico,

mi dispiace di essere una vigliacca ma proprio non potevo dire quelle cose. Non ci riuscivo, dovevo difendere la tenerezza dentro di me, contro una tua granitica indifferenza. Contro peggio ancora un tuo discorsetto del "non mi piaci abbastanza" sulle tue situazioni che anch'io conosco.
Non avrei respirato sui tuoi silenzi, sarei sicuramente inciampata sull'insicurezza della tua voce. Sarei caduta, stramazzata al suolo al sentire mentire ancora e ancora la tua voce senza poter gridare: «Basta io non ne posso più»
Con il senno di poi, a cuore calmo, un sorrisetto sale su al pensiero del racconto che ne avrei fatto delle piccole gioie che poi nelle tue mani son finite. Son contenta, davvero tanto, confido in loro che ti possano ricordar ogni tanto di me. Non sono sicura di ciò che ne farai, se le conserverai e basta o se le userai. Come ad altri le giustificherai e quale sorrisetto beffardo al quel punto spunterà dalle tue labbra bislunghe. Ti faranno da rammentatori di tutto ciò che ti ho insegnato e tu li odierai ma non potrai mai sbarazzarti di loro perché la gentilezza e nel tuo DNA.
Poi però ti avrei anche raccontato tutti i guai e allora la chiacchierata sarebbe diventata seria, pesante e lunga. Quante cose può ascoltare un’anima, prima di cedere alla stanchezza?
Non lo so, davvero non lo so,
Caro amico, se tu sia sincero quando mi scrivi o mi parli al telefono. So riconoscerlo perfino di schiena ma senza la tua presenza, mentirmi ti è più facile. Tua Nina.


Caro amico,

tu ce l'hai con me ma io non posso dirti che chi frequenti siano gente spettacolare, se non è così.. forse tu lo sei non loro.
Lo so che di loro vedo solo l'ologramma di quel che vogliono far vedere, ma sai lì si nasconde anche un po' di quella verità che all'altra gente, quella dei loro "tutti giorni" forse tacciano, nascondono. Le loro bolle sono inquinate da sogni corrotti e pensieri confusi. Questo io penso.
Io sono sincera, ma non trovo altro modo per definire persone che di nascosto spacciano menzogne per verità e camuffano verità per battute di spirito.
Chi fa il pagliaccio per finta, alla lunga, lo diventa davvero.
Non vorrei perderti ma le nostre strade si divideranno ben presto su questo cammino che stai da un po' intraprendendo.
Io ho paura dei miei domani, tu lo sai, per questo non li prometterò mai facilmente, a nessuno.
La mia vita s'è fatta pesante e pressante sono le mie bolle di stanchezza ma qualche speranza perfino io ce l'ho. Lo sappiamo entrambi.
Rimane da capire quanto ti terrò ancora la mano. Quanto te la farai tenere senza poi voler spingermi a te, vicino. Di quelle vicinanze che appartengono al per sempre.
Io non credo al per sempre questo non te lo mai detto, eppure è così..
Io credo che se lo vuoi puoi, ma te lo devi guadagnare ogni santo giorno. Come ogni cosa belle della vita, che fatta con calma e per bene. Tua Nina, sempre Tua.


Caro amico,
Stasera ho bevuto, era una di quelle notti in cui si deve bere via la paura se si vuol sopravvivere.
C'è il male dentro me, il lato oscuro che contamina le bolle più pure.
Ho rovinato il mio polso, e forse oggi lo rovinerei ancora un po' se avessi attrezzi adatti a me.
Per cercare una bolla su cui nascondermi, ho preso da bere e cose per dipingere.
Son cose che ho già fatto una vita precedente..
Tu non hai mai dipinto ubriaco?? Non hai mai danzato come se fossi sul tetto del mondo? Non ti sei mai spinto fino all'estremo intimo pensiero che forse è il tuo sangue quello che invoca il sollievo?
Solo il sangue lava e perdona, disinfetta e aggiusta l'anima.
Se non lo sai questa vita, non ti ha insegnato niente.
Non fermare la mia mano, tanto non ci riuscirai. Poi sei lontano ed io non ascolterò certo nessuno, quando verrà il momento del buio e delle tenebre dentro me.
Ti ho insegnato ad accendermi e spegnermi, forse avrei dovuto anche insegnarti a starmi accanto quando succedeva ma non potevo prevedere che le situazioni avrebbero spinto la mia anima ben oltre di quello che potevo sopportare.
Se cuci una ferita sanguina ed io è quello che voglio vedere, voglio vedere sanguinare la mia anima affinché io possa riparla di nuovo. Voglio riassemblarla, togliendo ciò che è maligno e corrotto. Ciò che mi fa star male non può esser tolto, questo lo so. Stammi vicino, tua Nina.


Caro amico,
Ho fatto un sogno su di te e me. In verità ti ho sognato quattro volte da quando ti conosco. Nel primo sogno venivo con dei tuoi colleghi a casa tua, ma tu non c'eri e la tua casa era ammuffita e vecchia. In primo piano un pettine, come a ricordarmi che tu pensi di esser vecchio. Stupidaggini.
Il secondo ero a lavoro da te, tu eri appoggiato con le mani sul mento a una mensola in corridoio che va su negli uffici. Io ti dissi che non ti piacevo e tu mi rispondesti che non avevo capito niente e mi BACIASTI!! Sì TU! Baciasti ME, IN MODO SPETTACOLOSO. Tu sai che i baci nei sogni portano male, ma il tuo era così bello ed intenso che bhe non m'importò del tradimento che avvenne lì a seguire. Avevi gli occhi dolci come in quella foto, che tu sai che mi piace.
Il terzo fu lunghissimo è articolato ma te lo voglio raccontare lo stesso..
La scena si apre con me incinta, che passeggio con mia figlia lungo la via del tuo lavoro, sono di nove mesi. Viene fuori un tuo giovane collega che mi tocca la pancia e mi fa una battuta simpatica. Poi vieni fuori tu che lasci i tuoi clienti e ti avvicini a me per sapere come sto. Sei gentile e amorevole ed io sono rigida e malmostosa. Ti ripeto che sto bene e che sto facendo una passeggiata con mia figlia. Mi lasci con il tuo sguardo da " ti ucciderei se potessi ma mi stai troppo a cuore" e io proseguo con mia figlia. C'è un flashback del momento in cui noi divenimmo amanti. Un aperitivo, molte risate, molto alcool e un finale bollente. ...
(nella prossima ti finisco il sogno, intanto tu pensaci) Ti voglio bene, lo sai? Sempre tua Nina.




Caro Amico,

Eccomi qui ancora una volta a scriverti le mie bolle di sapone..
.. Dopo la scena hard ci fu un ritorno alla realtà con mia figlia che mi chiese cosa intendessi fare, con te e il bambino e gli risposi che non lo sapevo. Arrivati vicino alla posta, mi presero i dolori e sentii che le acque si erano rotte, gli dissi a mia figlia di andare a casa a prendere il borsone, non era lontana casa mia e poi ti chiamai e tu accorresti, velocissimamente. Andammo a casa mia a recuperare borsa e figliola. In macchina ci fu silenzio, interrotto dalle tue incensanti domande sul mio stato di salute. Poi arrivati al pronto, mi feci più ostile e ti disse che non era il caso che entrassi con noi, tu mettesti il muso ed io entrai al pronto soccorso con mia figlia. Partorii subito senza problemi, il bambino era maschio, aveva i tuoi occhi e i capelli ricci. Lo chiamavo Sam. Tu mi scrivesti su whatsapp, certamente preoccupato ed io ti risposi con queste parole: Devi risolvere le tue questioni, a mio figlio ci penso io, la nostra relazione è finita qua ( non mi ricordo le parole esatte) e finì il sogno con me agitata e confusa.
Nel quarto sogno, mesi e mesi dopo, mi dicesti in una scena - ti porto a casa e poi scappasti senza farti più vedere.. (molto più realistico del terzo)
Ora tu che pensi di tutto ciò? Non vorrei buttarti nell'ansia più tenebrosa, ma credo di amarti già da un po' e mi sa che non sarà possibile tornare a essere di nuovo amici, come prima.
Non volevo finir così il racconto, ma questo è il succo. Alla prossima sempre Tua Nina.


Caro Amico,

Qui sul finire della sera, sui rilievi stessi della fine, o l'onda eterna del per sempre fra noi, io scrivo a te, come se non ti avessi scritto mai.
Come se le mie labbra e le mie mani capricciose non ti avessero mai detto o scritto cose cattive e mediocri.
Come se la mia anima non ti fosse mai appartenuta e il mio esile corpo non ti avesse mai davvero desiderato.
Ti scrivo come se ti avessi perdonato.
Dove ora sono io, tu non potrai arrivare, né per salvarmi né per destarmi.
Non potrai venir sul quel cavallo bianco e con il tuo bel costume azzurro, o volando sopra le nuvole per atterrare di fonte a me e come nelle favole darmi il salvifico bacio del vero amore, che tutto salva e che tutto risveglia.
Dove sono io tu non ci sarai perché non è posto per te, tu meriti altro nella vita.
Ti mando bolle di speranza e ti auguro di dormire, sopportando gli incubi, e non sentendo il peso della vita che ti scivola via. Le tue bolle sanno d'esperienza, di vita, sono piene di fascino per chi le sa guardare.
Ti auguro, anzi no, ti prego, non bere via la paura assieme alla stanchezza, non rovinare ciò che la natura ti ha dato di così bello e prezioso.
Voglio spero che tu mangi, con moderazione ed equilibro ma mangi.
Non sai quante nevrosi in meno avresti se tutti questi consigli seguiresti.
Non prender aerei sconsiderati, per dimostrar che tu ti salvi sempre. Non metter alla prova la preoccupazione di chi ti vuol bene. Sii prudente, sei importante per tanta gente.
Non buttarti con gente sciatta, che si nasconde dietro insulsi pretesti. Sii te stesso, credi in te stesso. Mettiti alla prova, allo sbaraglio solo fra le braccia di che ti vuol bene, che sa ciò che ami e ciò odi e conosce il tuo vero nome.
Lascia passar i treni, non pretenderli. Non andar da lei. Non meriti di più che l'inganno? Non meriti forse anche un po' di verità? Ti ho insegnato a volare, allora vola, forza, con la tua mente, con la tua anima senza bisogno apparentemente di nessuno.
Amerò, spererò, pregherò, sempre per te, che quando ti accorgerai di aver sbagliato, avrai sempre la forza di ricominciar da capo. Ti amo, sempre tua in bolle e speranze, tua Nina. Addio.



Tornando alla realtà...

“La penna in mano. Per una storia della cultura manoscritta in età moderna” di Francesco Ascoli

 

 Scrivere significa certamente anche comunicare, con se stessi in prima istanza; scrivere per sé è una tappa fondamentale del processo di scrittura e diventa anche una tappa di un processo di maturazione delle idee e di interazione con gli altri. Una palestra per esercitare la nostra capacità di comunicazione, di interazione con gli altri, di confronto con abitudini e modi di pensare differenti. La scrittura personale, diaristica, negli ultimi anni è diventata un oggetto di attenzione particolare anche in direzione medica: si parla di “grafoterapia” sia intesa come metodo per combattere la disgrafia, sia come ausilio terapeutico per persone in difficoltà o in particolari situazioni di isolamento o malattia; già da diversi anni sono attivi dei corsi di scrittura autobiografica, molto frequentati. Ai malati e, in generale, alle persone che per diversi motivi sono in stato di sofferenza, si consiglia di scrivere, di tenere un diario. Scrivere di sé migliora il rapporto non solo con se stessi ma anche con gli altri. Inoltre, in queste situazioni è raccomandato o suggerito l’uso della scrittura a mano più di quella al computer. Per quanto riguarda questo particolare aspetto, è interessante notare la parabola per la quale. Dall’iniziale idea di controllo medicale e quasi politico sulla scrittura si sia passati a una indagine scientifica e di acquisizione di valore della scrittura a mano da parte di pedagogisti, psicoterapeuti e medici esperti di neuroscienze.

Fino a tempi recenti l’atto più rappresentativo del modo di comunicare agli altri era quello di scrivere una lettera. Negli ultimi anni, il tema della lettera o di quello che ormai si denomina con il termine epistolarità (che sta a indicare la cultura della lettera), è divenuto terreno fecondo di ricerca da parte di moltissimi studiosi appartenenti a discipline diverse, dalla letteratura alla storia dell’arte, alla semiotica, alla linguistica, così come testimoniato da numerose iniziative verificabili anche in rete. Le direzioni di ricerca possono essere diverse: edizioni di carteggi, studi di casi singoli o sulla scrittura delle lettere come genere letterario o come espressione personale di intimità, o di genere. Numerosi i gruppi di ricerca ad hoc che si occupano di questi temi; in Italia segnaliamo il progetto Archilet e il CRES e la bibliografia ormai è sterminata.

Non voglio dire che tutto ciò sia poco e che non sia necessario indagare in queste direzioni, ma trascurando in tal modo gli aspetti materiali della lettera, o giudicandoli marginali, si rinuncia a quello che più la caratterizza. Ne è sintomo il fatto che ben raramente vengono riprodotte le lettere in originale, mostrando le scritture autografe, l’impaginazione, il colore dell’inchiostro, né si fa alcun ragionamento al riguardo. Esse sono generalmente solo trascritte, tradendo in tal modo una delle peculiarità più forti della lettera. In altre parole, la lettera come mezzo per indagare qualcosa d’altro, non studiata di per sé. Manca dunque una “ontologia” della lettera, qualcosa che la riporti a quello che sostanzialmente è: un documento scritto, con tutto ciò che tale denominazione comporta. E la sua materialità è, come dire, “ontologizzante”, vale a dire un documento non sarebbe una lettera se non avesse certe caratteristiche materiali, sostanziali e formali. Assieme a questa, il gioco dello scambio epistolare e il ruolo reciproco della “ricezione” del testo, assumono un’importanza fondamentale nel comprendere il vero statuto del fenomeno “lettera”. Ed è proprio la materialità che diventa un terreno spesso dimenticato, o evocato soltanto in funzione di dimostrare qualcosa che ne sta al di fuori e comunque non importante di per sé, come quando è evidenziata solo per mostrare le caratteristiche personali di certi autori (il tale usava la tal penna o scriveva solo di notte ecc.), e pertanto come strumento di investigazione biografica o letteraria, e non per costruire un discorso generale sugli aspetti materiali dello scrivere.

È ben vero che in alcuni studi, anche se di rado, questi aspetti sono messi ben in luce e sono oggetto specifico di un contributo scientifico; la lettera poi fa parte anche dell’universo postale in generale, ed è facile trovare riferimenti materiali negli studi di storia postale desunti dal collezionismo filatelico. Questi studi ci informano in merito a come veniva materialmente confezionata la lettera, le procedure per chiuderla o sigillarla, per indicare l’indirizzo, per apporre l’affrancatura e così via. Tuttavia, questo fronte così caratteristico e importante raramente incontra il mondo scientifico e accademico. D’altra parte la storia postale, che potrebbe dare una legittimazione disciplinare a questi studi, si occupa più che altro di organizzazione dei sistemi postali e dei meccanismi di affrancatura, più che di cultura della lettera in sé, anche se non mancano contributi interessanti su come fossero disposti e formulati gli indirizzi sulle carte o su come e quando sia nata la busta. Inoltre, i numerosi trattati per scrivere lettere, i “segretari” presenti in letteratura dal medioevo fino praticamente ai giorni nostri, mostrano in molti casi quello che si chiamava il cerimoniale epistolare: usi e abitudini che riflettono non tanto delle semplici consuetudini, quanto una vera e propria cultura della comunicazione scritta. A ben guardare, proprio tenendo conto di ciò che questa letteratura di segretari ci dice, la lettera non si compone solo del momento in cui il pezzo di carta diventa documento. Ogni lettera ha una sua progettazione, un suo modo di essere pensata, realizzata, scritta. I suoi preliminari sono importanti quanto la lettera stessa. Quali sono questi preliminari?

Il componimento satirico di Giovan Battista Fagiuoli, dedicato a Francesco Redi, prende di mira tutto il cerimoniale delle lettere:

Al sig. Francesco Redi – In biasimo delle cerimonie

Quanto si debba cominciare in su
la lettera; e nel far la soscrizione,
quanto allora si debba andare in giù:
se torre, ovvero aggiungere il padrone:
se la lettera alfin debb’ire ignuda,
o aver la coperta ed il coltrone.
Ne’ titoli (o qui davver si suda)
esser bisogna in dargli accuratissimo, prim’ancor che la lettera si chiuda.
Se a talun che si succia l’illustrissimo,
si desse il molt’illustre, oh che accidente!
Oh che disgrazia! oh che romor grandissimo! Che la lettera poi nel rimanente
non abbia senso e non concluda un’acca, questo qui non importa poi niente.
S’osserva che materia vi s’attacca
per sigillarla; e guai a chi pigliasse
l’ostia dove debb’ir la ceralacca…

Scrivere lettere è dunque un cerimoniale, stabilisce una procedura da seguire che si compone di diverse fasi. Anzitutto, esiste una causa scatenante (un’altra lettera a cui dobbiamo o vogliamo rispondere, un episodio da raccontare a qualcuno che sta lontano, una richiesta di informazione, un invito…). Non era difficile che, coloro che erano abituati a sbrigare corrispondenza, dedicassero a questa attività una porzione ben definita della propria giornata, con riti e abitudini scandite nel tempo e nello spazio. Una scrivania, un sécretaire, un tranquillo angolino, dove apparecchiavano tutto l’occorrente per la loro attività scrittoria. Si preparavano gli strumenti, che fosse la penna d’oca o la cannuccia con il pennino, la carta, l’inchiostro. Man mano che il gioco dello scambio epistolare si consolida, si consolidano allo stesso modo la peculiarità del vivere, la scrittura, l’attesa della lettera, il riconoscimento della scrittura della persona che ci scrive, con tutta la carica emotiva che questo comporta, il piacere di scrivere a mano per il fatto che chi leggerà parteciperà dello stesso gioco, riconoscerà la nostra scrittura e ci sembrerà più vicino ancora. Ci si abitua alla scrittura altrui, creando un circuito virtuoso di complicità e di intimità.

Scrive Janet Altman a proposito del romanzo di Colette Mitsou, ou comment l’esprit vient aux filles: «Only gradually do they become skilled readers of each other’s letters». I segretari, i manuali per scrivere lettere a volte introducono l’argomento su questi preliminari, così come su questioni materiali, ma dedicano loro in generale poche e frettolose pagine, pensate come semplice e necessaria introduzione all’argomento prima di procedere alla presentazione dei vari tipi di lettere. Per la verità, esistevano già dal Cinquecento i segretari o altre pubblicazioni che insegnavano a scrivere gli indirizzi, come una conosciuta per lo più come manuale di scrittura, di Salvadore Gagliardelli, calligrafo fiorentino, intitolata le Soprascritte di lettere in forma cancelleresca corsiva, pubblicate a Firenze nel 1589 in seconda edizione, che era a tutti gli effetti un campionario di intitolazioni e di esempi su come impostare un indirizzo di una lettera, con decine di esemplificazioni secondo il rango del mittente e del destinatario. Indicazioni analoghe si trovano infatti anche nei manuali di scrittura, anche se orientate più sulle abbreviazioni da utilizzarsi nelle lettere, o sulle intitolazioni, che sul resto. Le Istruzioni per la gioventù impiegata nella segreteria di Francesco Parisi, pubblicate a Roma nel 1785, parlano del cerimoniale come “arte epistolare” in cui non bisogna affettare una troppo bella scrittura per il quale quest’arte:

parte vien compresa nell’arte del ben dire, della quale supponiamo informato chiunque si applica a questa professione, parte si ristringe nella pratica del Cerimoniale della Corte, e finalmente nella perizia della Calligrafia, o sia dello scrivere i caratteri con misura, e chiarezza, e con risalto. Da due estremi dobbiamo allontanarci.

L’iconografia della lettera illustra bene la realtà epistolare nelle sue varie manifestazioni. Vi sono ormai molti studi dedicati; tuttavia, nella maggior parte dei casi, la lettera (così come gli strumenti di scrittura in generale rappresentati) è un accessorio che ha più che altro un valore simbolico, per gli uomini un simbolo di potere, per le donne uno strumento di comunicazione affettiva e di seduzione. Tuttavia, se osserviamo la pubblicistica satirica dell’Ottocento, come quella raffigurata su riviste come il «Charivari» dove C. Dauphine e D. Poublan dedicano un capitolo del loro libro alla boite aux lettres de Gavarni; la lettera qui non è un accessorio, ma rappresenta il perno attorno al quale la satira trova la sua ragion d’essere. Numerose sono in questa rivista (e in riviste consimili) le situazioni di rappresentazione della lettera, che mostra sì un aspetto ironico, satirico, ma ci dà anche uno spaccato molto più ampio, variegato e realistico delle varie declinazioni dell’universo lettera.

Gavarni è un disegnatore che ha confezionato parecchi disegni, mostrandoci l’atteggiamento di vari tipi di persone nei confronti della comunicazione epistolare: la “grisette”, ossia la ragazza nubile di umili origini, la modista, l’uomo di lettere, il gendarme, il viveur, l’adultera, il turista, ecc. Gavarni ne ha per tutti. Ciò che aggiunge un prezioso contributo sono le didascalie e i commenti alle tavole, che ci forniscono non solo una maggior comprensione del contesto, ma anche una chiave d’interpretazione della situazione sociale, culturale e perfino politica. Una di queste tavole, per esempio, pubblicata sul «Charivari» del primo agosto del 1838, ci illustra una donna “demi-mondaine” cioè una popolana ma che sa un po’ scrivere e che si ritiene già un po’ emancipata, mentre sigilla una lettera che porgerà poi a un suo messaggero per la consegna. L’interessante è che viene trascritto in basso il testo della lettera (anzi più che una lettera è un biglietto con poche righe) anche nella sua grafia che si dimostra ancora incerta e che tradisce le sue umili origini. Il contenuto ci riferisce che la signorina rifiuta un appuntamento per ragioni «che lei conosce» e che probabilmente anche il destinatario conosce…

La lettera, a ogni modo, una volta redatta, diventa a tutti gli effetti un documento che possiede diverse caratteristiche. È un documento anzitutto che ha diversi tipi di testualità (indirizzo, luogo e data, firma). Anche il suo testo è suddivisibile secondo i canoni classici della retorica epistolare in diverse porzioni (l’attacco, il corpo del testo, il commiato…). A ciascuna di queste testualità appartiene un modo differente di gestione degli spazi della lettera. Esistono anche tipi di testo citati che a loro volta possono avere collocazione e ingombro spaziale differenti nell’economia della lettera (un esempio è una poesia o una citazione nel corpo della lettera). Oppure possono essere presenti fuori dagli spazi del corpo testuale dei commenti, delle aggiunte, che occupano spazi e scritture diverse. Queste spesso rappresentano preziose testimonianze di ripensamenti – correzioni o semplici esigenze di fornire nuove informazioni – compilati magari successivamente alla prima stesura e redatti in un secondo momento. Tutto ciò è più facile che accada nelle comunicazioni epistolari in cui il ritmo della corrispondenza viene rallentato dalla lontananza e dove è urgente fornire il contributo informativo più ampio e aggiornato possibile.

In certe lettere possono naturalmente anche comparire apparati iconografici come disegni, decorazioni; per esempio mi riferisco a quelle di artisti che le decorano con i loro disegni o che le scambiano per una richiesta di confronto e di analisi. Insomma: un vero e proprio esercizio intertestuale.

La lettera ha una sua materialità come oggetto che, per la spedizione, ha bisogno di essere manipolato, piegato, chiuso, sigillato magari; occorre inserire l’indirizzo e compiere tutte quelle operazioni che ne permettono il viaggio: l’affrancatura, eventuali diciture come “cito cito” e altre ancora. Occorreva poi recarsi in un ufficio postale o darle a qualcuno per l’inoltro. Ed ecco che essa manifesta un suo lato paradossale: in questa dimensione della comunicazione epistolare, l’invio della lettera presuppone un contratto con se stessi, che a sua volta implica l’oblio.

In tutti i trattati che insegnano a scrivere lettere, non vi è traccia, e non a caso, dell’attività di conservazione delle copie delle missive inviate, se non nel caso di quelle d’ufficio o a contenuto giuridico amministrativo o burocratico. Non è previsto un copialettere per la corrispondenza intima o familiare in genere: si scrive, ma di ciò che si scrive non rimane generalmente traccia, salvo non si abbia una brutta copia di una lettera importante spedita poi in bella copia. Si trascrive il testo delle proprie lettere quando magari si pensa a una pubblicazione futura del proprio carteggio.

Il destinatario, poi, può influire sulla disposizione formale, e sostanziale, della lettera. Nel Settecento esistevano canoni formali di disposizione del titolo (per esempio, Eccellenza) posto in alto, con il corpo della lettera molto più in basso per evidenziare la distanza fra chi scriveva (che stava in basso nella gerarchia sociale) e chi riceveva (il famoso “donner la ligne”). Anche il canone formale della calligrafia poteva essere differente secondo il gradino sociale del destinatario. Per certi tipi di lettere importanti era meglio usare una variante della scrittura italiana detta appunto “formale”.

È un documento che si aspetta di essere letto da qualcuno in particolare e dal quale si aspetta con tutta probabilità una risposta. Una lettera è dunque un sollecito a iniziare o proseguire un discorso a distanza, in cui i giochi delle attese, dei silenzi e delle risposte disegnano un modo di relazionarsi particolare che oggigiorno stiamo perdendo. È un documento che viaggia, e pertanto ha un suo aspetto strettamente postale ben identificabile che il collezionismo di genere ha bene evidenziato, anche se ha tralasciato tutti gli altri aspetti della lettera.

È inoltre un documento che rivela, come altri del resto, la cultura grafica dello scrivente, la sua competenza calligrafica, e che mantiene un suo grado di riservatezza: solo il legittimo destinatario ha il diritto di leggere la lettera. Sappiamo bene che tutti questi elementi variano, di fatto, secondo circostanze e canoni che man mano possono mutare nel tempo. Occorrerebbe pertanto poter fare delle indagini sia comparative, analizzando fonti diverse a parità di provenienza o destinazione, sia osservandone i parametri nel loro mutare nel tempo e nello spazio. Le ricerche invece si soffermano spesso soltanto su carteggi di singole personalità e la dimensione comparativa è poco presente per ciò che attiene questi aspetti materiali. La componente grafica, sia nella dimensione propriamente calligrafica, sia per quello che attiene il layout e di tutto il paratesto epistolare, ha un’importanza fondamentale. È naturale che l’aspetto calligrafico rispecchi, anche se non in maniera diretta e meccanica, il codice formale dell’epoca cui si riferisce.

Nell’Ottocento prevale la scrittura inglese, ma è ben noto che questa presenta numerose varianti e che in alcune scuole e collegi si utilizzavano variazioni importanti. Esistono poi fattori sia contingenti, sia economici che influiscono sul confezionamento della lettera: scarsità di materiale scrittorio a disposizione, bassa qualità della carta, particolare situazione di scrittura, tempo a disposizione, ecc. Nei periodi bellici o di internamento, i codici di comportamento scrittorio usuali vengono spesso dimenticati o inutilizzati e si possono trovare le combinazioni e le soluzioni più impensate, spesso anche quando la pratica della scrittura era molto limitata o proibita addirittura, come nel caso delle carceri o dei manicomi.

Il problema della riservatezza e del controllo della pratica epistolare da parte dello stato e del potere in genere è evidente, fin dai tempi antichi, ed era effettuato sia direttamente, come nel caso della scrittura femminile, in cui l’attività scrittoria è possibile ma ridotta o presente solo in alcuni casi ben precisi, sia indotto indirettamente, mediante azioni preventive con una modellizzazione della comunicazione epistolare o, a posteriori, con la pratica censoria o con il limitarla riducendo il materiale a disposizione. A queste esigenze di controllo da parte del potere istituzionale corrisponde poi, nella pratica, tutta una serie di meccanismi di difesa per poter diffondere e comunicare liberamente il proprio pensiero, attraverso pratiche crittografiche o nascondendo il messaggio fisicamente (steganografia) o ricorrendo a vari espedienti, utilizzando vari “linguaggi” specifici come variazioni nel modo di apporre le affrancature o altri meccanismi di questo genere. Particolarmente utilizzati questi espedienti con la pratica della cartolina postale, che rende palese il contenuto del messaggio, e che aveva quindi bisogno di un qualche modo per poterlo comunicare in segretezza, specialmente nelle corrispondenze amorose.

Man mano poi che l’industrializzazione procede e che il grado di alfabetizzazione aumenta, certi tipi di testo si standardizzano, si uniformano, e l’industria cartaria si prodiga nello sfornare una grandissima varietà di soluzioni grafiche e tipografiche adatte a quasi tutte le esigenze comunicative. Ed è attenta non solo a confezionare prodotti già pronti per l’uso, ma anche quelli che mostrano solo un layout particolare e che necessitano di riempimento. Questo sta a dimostrare quanto fosse ancora attiva, diremmo così, una sorta di consapevolezza da parte dei produttori di questi materiali, di quanto fosse ancora importante la cultura manoscritta. Così le cartolerie si riempiono di album, che sono sì preconfezionati dall’industria cartaria, con la scritta ALBUM in bella vista, con le pagine con lo sfondo colorato di diversi colori, ma pronte per ricevere scritte, disegni e altro da parte di chi lo va a utilizzare. Anche le lettere in età moderna e contemporanea seguono questo percorso: si listano di nero bigliettini e buste per comunicazioni di lutto, si stampano lettere con decorazioni floreali o con una foggia particolarmente artistica per comunicazioni personali e amorose. Ogni tipo di comunicazione sembra avere un suo modo di esistere, graficamente parlando. Si vendono anche inchiostri con colori particolari, come il violetto o il seppia, sempre con intenti di questo genere. Per non parlare dei diversi tipi di pennini. Si confezionano biglietti e bigliettini di tutte le fogge e dimensioni. Nascite, compleanni, onomastici, nozze, matrimoni: tutti i momenti più importanti della vita vengono stigmatizzati da un evento scrittorio e in maniera particolare. Parallelamente, però, l’aumento dell’alfabetizzazione e, in particolare, alcuni eventi importanti come gli eventi bellici o l’emigrazione, scatenano un ricorso massiccio all’epistolarità, con un utilizzo sempre meno formale dei tradizionali canoni retorici ed estetici della lettera, ma allo stesso modo rivelando che nello scambiarsi lettere si ritrova una maniera autentica di stare in contatto, una volontà di non perdersi in un mondo ostile e lontano, una voglia di intimità e di affetto che la scrittura a mano contribuisce, almeno in parte, a soddisfare. Ovviamente, fra queste due modalità, quella di una “luxuspapier” e quella di una più a buon mercato, esiste tutta una vasta gamma intermedia.  

Le grandi tappe della vita, nascite, battesimi, matrimoni, morti, ma anche le ricorrenze come i compleanni, il Natale, la Pasqua e i capodanni, gli onomastici e così via sono sempre state occasioni per la scrittura, per comunicare agli altri una condivisione di un valore religioso, o per fare degli auguri nelle ricorrenze più svariate. In alcune tradizioni, certe ricorrenze sono diventate delle occasioni per sfoggiare dei talenti artistici, come nel caso di un milanese, Agostino Cereda, che negli anni Settanta dell’Ottocento inviava degli splendidi auguri calligrafici a sua madre per il suo onomastico (Fig. 15). In certe tradizioni e paesi protestanti di lingua tedesca, nei battesimi si confezionavano dei piccoli capolavori di disegno e scrittura; a Natale le letterine a Babbo Natale o a Gesù Bambino diventano occasioni di scrittura per chiedere i doni per la festività più importante dell’anno, ma anche dirette ai genitori per promettere loro di essere più buoni. Presto le industrie cartarie dopo la seconda metà dell’Ottocento si industriarono e sfoggiarono una serie di manufatti già preconfezionati per queste occasioni, dove il disegno era già prestampato e lo spazio di scrittura già inquadrato, pronto per essere riempito. L’industria fornisce le carte decorate che vengono utilizzate poi per svariate occasioni e in un reticolo familiare fatto non solo di genitori e figli, ma anche di zie, zii, nonni e nonne. Le prime lettere di Natale nascono come auguri ai genitori: «Cari genitori. Mille felici auguri! Sarò buona, pregherò Gesù Bambino per voi e voi benedite e baciate la vostra aff.ma figlia Giovanna. Bra 21.12.1917»

Parallelamente è sorta la tradizione di scrivere le letterine direttamente a Gesù Bambino o a Babbo Natale (siamo agli inizi del XX secolo). Anche la manualistica epistolare si adegua e illustra esempi di letterine e di biglietti per le varie occasioni.

La lettera a Gesù Bambino si inserisce infantilmente, in una ricca tradizione di comunicazione epistolare con il soprannaturale dalle molte varianti. Essa è preparata ancor oggi in famiglia, ma forse anche nella scuola, ed è spontanea e personale, audace e spregiudicata o addirittura pazzerella, spesso corredata da fantasiosi disegni realizzati dal bambino stesso che mescola i più immediati interessi personali.

E prosegue: «La letterina a Gesù Bambino era realizzata, verso la metà del Novecento, ma forse precedentemente, anche secondo una prassi gestita e ritualizzata nell’ambito di scuole o doposcuola religiosi». Le letterine finivano anche per rappresentare un esercizio di scrittura da una parte, testimonianza di un traguardo scolastico importante per lo scolaro, giacché in esse bisognava scrivere bene, scrivendo a Gesù Bambino (o anche ai propri genitori), ma finivano anche per diventare testimonianza di vita vissuta, reliquia infantile da conservare a futura memoria.


Negli ultimi tempi, nella stampa, nell’opinione pubblica si sono levate molte voci sul fatto che ormai non si scrivono quasi più lettere, e men che meno a mano. Già da prima che internet prendesse piede, esistevano fenomeni artistici o culturali, come quello della mail-art, che erano lì a dimostrare come la lettera potesse valere sia come espressione artistica, sia come sintomo di apprezzamento e valutazione dello scriversi a mano. La mail-art è un movimento artistico che data dagli anni Cinquanta del secolo scorso e si è sviluppato molto a partire dall’opera di Ray Johnson e che ebbe anche in Italia i suoi epigoni come Betty Danon. Alla lettera sono oggi dedicate numerose iniziative, come il festival delle lettere che si tiene a Milano ogni anno, oltre che musei particolarissimi, come quello delle lettere d’amore di Torrevecchia Teatina o della mail art di Montecarotto, per non parlare naturalmente dei vari musei postali come quello di Roma che sono anche dei veri e propri musei dedicati alla lettera.

Oltre alla letteratura poetica del Seicento, vari autori moderni, in epoche non sospette, hanno tessuto lodi alla lettera. Pedro Salinas, poeta e narratore spagnolo della prima metà del secolo scorso, pubblicava nel 1948 un vero e proprio saggio in «Defensa de la carta misiva». È un saggio che varrebbe la pena rileggere anche oggi, e forse non a caso pubblicato in Italia solo nel 2002, quando già la rete aveva iniziato a sbaragliare la lettera manoscritta. L’assenza del destinatario che si cerca di colmare con la lettera, il silenzio che accompagna la sua stesura, il tempo dedicato, l’attesa di una missiva di un proprio caro, quando cominciamo a riconoscere la sua grafia dall’indirizzo sulla busta. Salinas mette in campo sapientemente tutti questi elementi, ciascuno con la sua importanza, con la sua dignità. Il tempo, soprattutto: il letterato spagnolo rileva che già alla sua epoca la gente si lamenti del fatto che non c’è più tempo, mentre lo scrivere necessita di preparazione, di gesti da consumarsi in un tempo ben definito. Soprattutto ci avverte che la lettera è un oggetto complesso, che si presta a mille interpretazioni, a mille possibilità di analisi.

Alcuni manuali per la corrispondenza consigliavano di stendere una brutta copia, da poter correggere e rivedere, prima della versione ufficiale della lettera. Così come il tempo, anche lo spazio si restringe, la scrittura si fa portatile, si deve poter scrivere quando e dove si vuole. E non si tratta soltanto di una necessità dettata dai nuovi ritmi del progresso, ma è una nuova presa di coscienza rispetto a un mutato rapporto con l’attività di scrittura.

Il valore è quello che la nostra civiltà sarà in grado di darle. La scrittura può essere considerata un termometro che misura, nella sua ottica specifica beninteso, il grado di civiltà e del funzionamento e del successo dell’organizzazione sociale. Come ha mostrato il filosofo Maurizio Ferraris non possiamo fare a meno di lasciare tracce; il punto è come possiamo misurare la qualità delle tracce che noi lasciamo? Nel mio testo ho inserito anche numerosi esempi presi dalla letteratura, perché ritengo che in tal modo la riflessione su questi temi sia passata con meno filtri ideologici e politici, attraverso poesie, filastrocche, diari…  Oggi non si contano più libri (e film, e serie TV) che parlano di manoscritti perduti, di biblioteche dal sapere antico, di copisti, di calligrafi…. Il digitale è come un vento che soffia sul mare: vediamo le onde ingigantirsi e incresparsi, ci spaventano le burrasche, e le nostre povere barche del sapere sembrano affondare, ma il fondo del mare è quello di sempre. Non bisogna lasciarsi impressionare, né fare del digitale un feticcio o un totem da adorare. La tecnologia è uno strumento al nostro servizio, e non viceversa.

In alcuni paesi come Finlandia e USA, l’insegnamento della scrittura a mano è stato assai ridimensionato, quando non del tutto abolito: quali sono i rischi le conseguenze di un tale processo?
Premesso che si tratta di un grossolano errore (anche se declinato con sfumature diverse; in Finlandia si è abolito il corsivo quindi significa che continuano ad insegnare lo script; anche qui da noi le maestre spesso optano per lo stampatello dimenticando completamente il corsivo) vorrei sottolineare che i rischi e le conseguenze non sono solo rappresentate dall’impoverimento dei tratti neurofisiologici, dalla mancanza di abilità fini e altro ancora come le neuroscienze ormai ci suggeriscono da diverso tempo,  ma anche, e secondo me soprattutto, dalla perdita di contatto con la materialità della scrittura e di ciò che la sua cultura rappresenta. In questo abbiamo ancora molto da imparare da paesi di altre culture, come quella araba, o quella orientale. La perdita è pertanto non solo una perdita di una abilità, di uno “skill” come direbbero gli americani o gli anglosassoni, ma anche una perdita culturale, antropologica. E sembra che ci stanno ripensando consce di aver fatto un passo troppo azzardato. Per quello ben vengano altre culture a mostrarci che la scrittura non è meramente una tecnica che è funzionale solo a produrre dei testi ma è in qualche modo uno specchio che riflette ciò che siamo e cosa pensiamo di noi stessi.

Cosa hanno rivelato le neuroscienze riguardo l’importanza e l’utilità della pratica della scrittura a mano?
Premesso che non sono un esperto di neuroscienze, penso che queste stiano gradualmente arrivando a giungere a considerazioni e conclusioni simili a quelle che accennavo prima. Credo che abbiano dato e diano un contributo di chiarezza sui meccanismi profondi della manoscrittura e possono fornire utilissime indicazioni sulla postura corretta, sulla prensione dello strumento, e come questi influiscono sul tratto, ma devono essere coniugate con situazioni contingenti e particolari reali e concrete, non studiate in laboratorio. Vi sono poi numerosi studi che cercano di misurare con precisione millimetrica tutti i movimenti che si compiono durante il gesto grafico con strumenti e modelli matematici (come la International Graphonomic Society per es.). Ma come al solito la questione è porsi le domande giuste. Che tipo di problemi dovrebbero risolvere o aiutare a risolvere questo genere di ricerca se la scrittura è considerata solo uno skill? Possono contribuire in maniera efficace ad una pedagogia della scrittura a mano o a risolvere problemi di disgrafie in  sempre maggior aumento, o servono invece a creare dei robot che scrivono a mano?

Assistiamo a un revival d’interesse verso la calligrafia e alla nascita di nuovi orientamenti come la grafoterapia: cosa rivelano tali tendenze?
Come ho accennato nel mio libro, certi fenomeni che sembrano di revival, o di ritorno al passato, indicano invece la sensazione che ci stiamo accorgendo di perdere qualcosa di prezioso, oltre che di bello e di utile. La sensazione della perdita del bello o comunque un ripensamento sui canoni estetici in cui la scrittura è sempre stata ai margini, rappresenta una nuova fase che considero estremamente positiva in una società; e il ritorno a scuole di calligrafia e il loro successo indicano una attenzione particolare che non possiamo ignorare o giudicare solo come moda o come ritorno al passato. Oggi poi assistiamo a fenomeni di ibridazione fra calligrafia (e all’interno della calligrafia, fra diverse forme e tradizioni della stessa), pittura, fotografia e arti visive in generale. Anche se siamo ancora all’inizio, alla ricerca di linguaggi e di confronti fra tecniche artistiche e tipologie di messaggi che si vogliono comunicare, stiamo per ricostruire una identità culturale che passa anche attraverso la scrittura. Non è poco. La scrittura sa essere persuasiva se mostrata in maniera efficace. Riguardo la grafoterapia, essa viene incontro ad una sentita esigenza sia dal comparto scolastico, sia anche come ausilio terapeutico in generale verso pazienti per i quali la scrittura (a mano) può rappresentare un valido aiuto e sostegno per un miglioramento della qualità di vita. Per ciò che attiene la questione delle disgrafie per es., nel mio testo ho dedicato dei paragrafi a questo argomento, per far capire che a volte, se non spesso, le disgrafie non sono vere e proprie disfunzioni da consegnare al medico, ma semplicemente l’esito di una non corretta igiene della scrittura, non certo per colpa dei maestri (che non sono formati su questi aspetti) e il cui recupero attraverso esercizi e metodologie particolari risulta facilmente raggiungibile e spesso di ampia soddisfazione per gli stessi allievi che hanno disturbi di questo tipo. Lo scrivere come terapia era consigliato come pratica di sopravvivenza nei lager nazisti; e il tenere un diario ha permesso, per fare un altro esempio classico citato nel libro, ad Anna Frank di affrontare anni di forzata segregazione. Il successo della scuola collaudata a suo tempo da Duccio Demetrio (autore di interessanti testi sull’argomento di cui consiglio vivamente la lettura) e che tuttora continua, forma specialisti nella scrittura diaristica e autobiografica e fornisce la prova della validità di questo genere di iniziative.

Quale statuto epistemologico è dunque necessario per la cultura scritta?
È proprio questo lo scopo del mio libro: fare in modo che lo studio della scrittura a mano rientri un dettato epistemologico sicuro e condiviso da tutti coloro che se ne occupano. Fino ad oggi, tutti coloro che si interessano di scrittura, lo fanno dal loro specifico punto di vista di studio ignorando i contributi di altre discipline e usando terminologie diverse e strumenti di indagine diverse. Questo è valido soprattutto per coloro che fanno ricerca storica o letteraria, rispetto a coloro che utilizzano la scrittura nel loro lavoro in senso proprio del termine (come i grafologi, i calligrafi e gli artisti in generale), ma anche a tutti coloro che, sui vari social, si affrettano a lanciare l’allarme e a ripetere, quasi in coro, che non bisogna abbandonare il corsivo e che bisogna continuare ad utilizzare la scrittura a mano ripetendo ciò che le neuroscienze hanno ampiamente dimostrato da diverso tempo, tuttavia senza aggiungere nulla al già detto. Alcuni pedagogisti, come Bruno Vertecchi di Roma ha cercato di fare di più, attraverso ricerche mirate e condotte con metodo scientifico, tuttora preziose; ed è raro nelle interviste trovare argomentazioni diverse o in aggiunta a quelle che ho citato prima. Soltanto in una di queste, al dott. Raffaele Morelli, in un programma radiofonico di RTL102.5, ho trovato qualcosa di diverso e di interessante. Nel mio testo ho cercato di comunicare il concetto che sia ora di creare una disciplina o una meta-disciplina che organizzi gli studi su questo tema in maniera coerente e strutturata. C’è la necessità di un sapere bene organizzato che tracci strade, indichi percorsi e sviluppi di ricerca, in cui possa esistere una comunicazione trasversale e interdisciplinare da una parte, e che al contempo salvi tutte le declinazioni e le specificità di ciascun episteme, senza considerarne uno più importante o decisivo di un altro o tutt’al più come un’appendice tutto sommato non strettamente necessaria al progresso della disciplina cui si fa riferimento.

Quale futuro, a Suo avviso, per la scrittura a mano?
Perché abbia un futuro, è necessario soprattutto che abbia un presente. Non occorre soltanto creare occasioni, manifestazioni ed eventi in cui la scrittura a mano è protagonista (occasioni che già sono presenti come il festival delle lettere, o un recente sondaggio per valorizzare la scrittura a mano e renderla patrimonio immateriale dell’Unesco); occorre anche lavorare affinché, per es., gli organi preposti alle compilazioni dei programmi per le scuole primarie e per le università che si occupano di formazione primaria si responsabilizzino e diano corso a iniziative presso i vari ministeri e organi competenti per fare i passi necessari, ma è altrettanto importante che queste non vengano considerate battaglie di retroguardia, o di semplice ritorno al passato e di controtendenza rispetto all’utilizzo di mezzi moderni come la Lim. È fuori questione tornare a insegnare la calligrafia formale nelle scuole primarie, ma è altrettanto indispensabile non solo insegnare una buona qualità di scrittura, ma anche far passare il concetto cui accennavo all’inizio della scrittura a mano come segno di civiltà, altrimenti, anche se riuscissimo nell’intento di inserire queste problematiche nei vari programmi, rimarrebbe sempre l’interrogativo che molti ragazzi ormai si pongono: “ma perché devo ancora scrivere a mano quando ho a disposizione pc, cellulari, tablet, programmi di dettatura al computer che poi riportano su Word …?” Non si può rispondere a questi interrogativi se non dopo una attenta riflessione di natura storica e antropologica e raffrontandoci anche con culture diverse dalle nostre. Sento la mancanza qui di una sorte di museo della scrittura inteso non come semplice contenitore di materiali di scrittura, ma come un viaggio nel variegato mondo di questa unica e preziosa attività umana, e di come è stata vissuta, percepita, utilizzata, da noi e nelle varie parti del mondo. Sarebbe un importante ausilio nella direzione di una maggiore comprensione del fenomeno “scrittura” nella sua complessità.

Audiolibro

 "Lettera da una sconosciuta" di S. Zweig

 Oriana Fallaci - Lettera A Un Bambino Mai Nato

 LETTERA AL PADRE di F. Kafka

 Film completo

Colonna sonora

Lettera a G

 Se ti scrivo solo adesso un motivo ci sarà
non è mica san Lorenzo
non ci sono stelle matte
su 'sta piccola città
non ci sono desideri da non dire come tempo fa
il destino ha la sua puntualità
hai lottato come un uomo con la brutta compagnia
che non eri mica stanco
che nessuno mai è pronto quando c'è da andare via
hai pregato bestemmiando per la rabbia per tutta l'agonia
per le scelte che stava facendo Dio
non ci sono più i petardi
e nemmeno il diario vitt
le bambine occhiate in chiesa sono tutte quante spose

sono tutte via da qui
non si affaccia più tua madre alla finestra a urlare "tòt a cà"
non c'è neanche più la tua curiosità
dove sono le ragazze che sceglievano fra noi
e dov'è la nave scuola che hai confuso con l'amore
e forse lo era più che mai
non c'è più la pallavolo e i tuoi attrezzi non c'è più l'hi-fi
non ci sono più tutti quanti i tuoi guai
quando hai solo diciott'anni quante cose che non sai

quando hai solo diciott'anni forse invece sai già tutto
non dovresti crescer mai
se ti scrivo solo adesso è che sono io così
è che arrivo spesso tardi
quando sono già ricordi che hanno preso casa qui
non è vero ciò che ho detto: qua c'è tutto a dire che ci sei
fai buon viaggio e poi poi riposa se puoi.

LIGABUE, LUCIANO

 Poesia

 Albert Einstein - Lettera alla figlia

 “Quando proposi la teoria della relatività, pochissimi mi capirono, e anche quello che rivelerò a te ora,
perché tu lo trasmetta all’umanità,
si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo.
Comunque ti chiedo che tu lo custodisca per
tutto il tempo necessario, anni, decenni,
fino a quando la società sarà progredita abbastanza
per accettare quel che ti spiego qui di seguito.
Vi è una forza estremamente potente per la quale
la Scienza finora non ha trovato una spiegazione formale.
È una forza che comprende e gestisce tutte le altre,
ed è anche dietro qualsiasi fenomeno
che opera nell’universo e che non è stato ancora individuato da noi.
Questa forza universale è l’Amore.
Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo, dimenticarono la più invisibile
e potente delle forze.
L’amore è Luce, visto che illumina chi lo dà e chi lo riceve.
L’amore è Gravità, perché fa in modo
che alcune persone si sentano attratte da altre.
L’amore è Potenza, perché moltiplica
il meglio che è in noi, e permette che l’umanità
non si estingua nel suo cieco egoismo.
L’amore svela e rivela. Per amore si vive e si muore.
Questa forza spiega il tutto e
dà un senso maiuscolo alla vita.
Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo,
forse perché l’amore ci fa paura,
visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo
non ha imparato a manovrare a suo piacimento.
Per dare visibilità all’amore, ho fatto una semplice
sostituzione nella mia più celebre equazione.
Se invece di E = mc2 accettiamo che l’energia per guarire il mondo
può essere ottenuta attraverso
l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato,
giungeremo alla conclusione che l’amore è
la forza più potente che esista, perché non ha limiti.
Dopo il fallimento dell’umanità nell’uso e il controllo
delle altre forze dell’universo,
che si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento
di nutrirci di un altro tipo di energia.
Se vogliamo che la nostra specie sopravviva,
se vogliamo trovare un significato alla vita,
se vogliamo salvare il mondo e ogni essere senziente che lo abita,
l’amore è l’unica e l’ultima risposta.
Forse non siamo ancora pronti per fabbricare una bomba d’amore,
un artefatto abbastanza potente da distruggere tutto l’odio,
l’egoismo e l’avidità che affliggono il pianeta.
Tuttavia, ogni individuo porta in sé un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia aspetta solo di essere rilasciata.
Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara,
vedremo come l’amore vince tutto,
trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita.
Sono profondamente dispiaciuto di non averti potuto esprimere
ciò che contiene il mio cuore,
che per tutta la mia vita ha battuto silenziosamente per te.
Forse è troppo tardi per chiedere scusa, ma siccome il tempo è relativo,
ho bisogno di dirti che ti amo e che grazie a te sono arrivato all’ultima risposta.

 Frasi sullo scrivere a mano
 
 Chi scrive a mano sta anche disegnando.
(Fabrizio Caramagna)

Ho bisogno di cose antiche.
Scrivimi una lettera su un foglio di carta,
chiamami da una cabina telefonica,
citofonami sotto casa e sali da me ad ascoltare un disco di vinile,
dimmi “io per te ci sono”,
e quando avrò bisogno di te ci sarai veramente.
(Fabrizio Caramagna)

Quando i messaggi erano lettere scritte a mano e l’inchiostro un sodalizio intimo tra la carne e la carta.
(Fabrizio Caramagna)

Bello sentirselo dire, ma sentirselo scrivere profuma di buono.
(Fabrizio Caramagna)

Scrivere a mano è stata un’arte in un’epoca passata. Ogni parola era una firma, ogni frase era uno specchio della propria anima. Non si scambiavano lettere ma autoritratti.
(Fabrizio Caramagna)

Chi pensa che una mail sia il sostituto di una lettera scritta a mano, è perché non ne ha mai ricevuta una, non l’ha mai riletta migliaia di volte e non l’hai mai usata come cuscino.
(Fabrizio Caramagna)

Sfogliare lettere scritte a mano e scoprire l’emozione di un ricordo tra l’inchiostro sbiadito.
(Fabrizio Caramagna)

A volte capita. C’è bisogno di scriverle a mano, le parole, per poterle comprendere. E comprendersi.
(Fabrizio Caramagna)

Mi piaci perché sei fatta di libri e lettere d’amore scritte a mano.
Mi piaci perché la tua risata è come il suono di uno scontro di stelle, come il fruscio di una scolaresca di bambini all’uscita di scuola
Mi piaci perché a volte assomigli a una fanciulla che scrive i suoi segreti sulla suola delle scarpe e li rivela solo al vento e ai fiori selvaggi.
(Fabrizio Caramagna)

Mi piace scrivere le lettere a mano. Attraverso le lettere ci presentiamo non solo all’altro, ma anche e soprattutto a noi stessi, come un eterno primo appuntamento con la nostra anima.
(Fabrizio Caramagna)

Bisognerebbe ricominciare a scrivere lettere a mano. Esitare qualche secondo prima di sigillarle, riaprirle se è il caso, aggiungere qualche frase, qualche correzione e poi chiuderle di nuovo. Quindi andare a piedi fino alla buca delle lettere (magari passando per un bel parco di tigli). Recapitarle e attendere per giorni la risposta.
Scriveremmo cose più genuine, più vere. Meno frasi dette tanto per.
Prenderemmo i nostri sentimenti e li dispiegheremmo sul foglio, come dei fiori in primavera.
Saremmo più vicini, più premurosi, più attenti.
Saremmo più umani.
(Fabrizio Caramagna)

Sì alle note vocali solo se dicono: “Ti ricordi quella lettera che mi scrivesti vent’anni fa?”.
(Fabrizio Caramagna)

Ho bisogno dell’odore di vecchie lettere e libri rilegati in pelle e dei tuoi occhi azzurri.
(Fabrizio Caramagna)

Non è che le lettere scritte a mano siano più belle, solo che puoi toccarle, respirarci sopra, farci gli svolazzi con le dita, sottolineare più a fondo alcune parole, pensare “adesso cancello tutto” , aggiungere un punto sulle i, mettere i P.S. a fondo pagina (quelli dove vanno a finire le vere emozioni), rileggere tutto e sorridere.
Le cose scritte a mano mi piacciono un po’ di più.
(Fabrizio Caramagna)

Al tempo delle penne e degli inchiostri, le parole stavano a maturare su ampie distese di pagine.
Poi passava lo scrittore a mietere il raccolto.
Oggi le parole hanno fretta e spuntano prima del tempo,
lo fanno in qualsiasi terreno
e sono immature e prive di spessore.
(Fabrizio Caramagna)

Conta scrivere ogni giorno sul quaderno della vita
e farlo con una bella calligrafia.
e non importa se nessuno legge ciò che scrivi.
(Fabrizio Caramagna)

Mi piace raccogliere fragole. Mi piace scrivere a mano e allungare le linee delle t “minuscole”. Mi piace soffermarmi a guardare la gente e sorridere agli sconosciuti.
(Fabrizio Caramagna)

Tre diverse creatività. La finestra disegna la pioggia, io scrivo lettere d’amore al mio passato e il ticchiettio dell’orologio suona una musica misteriosa
(Fabrizio Caramagna)

Sii come il papavero.
Che non ha schemi e disegna il rosso a mano libera.
(Fabrizio Caramagna)

Nei bar di provincia i menù con l’elenco degli alcolici e dei toast sono ancora scritti a mano con pennarelli colorati su una lavagna di carta.
(Fabrizio Caramagna)

Sono tempi bui per l’eskimo e il chiodo,
i baci rubati sulle panchine,
le puntine che graffiavano i dischi,
le cornette messe giù perché rispondeva il padre,
Le lettere scritte a mano. Quelle che annusavi e non cancellavi più.
Adesso c’è solo la luce artificiale di uno smartphone
e tanto nulla intorno.
(Fabrizio Caramagna)

Una pagina antica di papiro, completamente bianca, senza scritta alcuna. La vita mancata delle parole che mai trovarono una mano pronta per portarle sulla superficie.
(Fabrizio Caramagna)

“Insieme” è una parola che si scrive a mano. Con le carezze.
(Fabrizio Caramagna)

Sebbene fosse un grande dattilografo, quando scriveva storie erotiche gli veniva meglio farlo a mano.
(Fabrizio Caramagna)

Le sue dita tremano sulla tastiera e distorcono le parole, tante cose vuole catturare e riesce solo a scrivere “Mi manchi. Vorrei che fossi qui”.
(Fabrizio Caramagna)

Ho trovato la tua voce. Era persa in un biglietto scritto a mano, in una nota di blues e in un ricordo di tante sere fa. Fragile, silenziosa, persisteva ancora.
(Fabrizio Caramagna)

Una volta a scuola si insegnava la calligrafia nello scrivere.
Adesso bisognerebbe fare esercizi di calligrafia nel pensare.
Troppe volte i pensieri sono aggrovigliati o imitano lo stile del compagno di banco
(Fabrizio Caramagna)

Non ha una brutta ortografia, è che lui e le lettere hanno incompatibilità di carattere.
(Fabrizio Caramagna)

Chissè se nel 2100 vedremo ancora una scrittura manoscritta, se vedremo ancora una mano umana che danza sull’inchiostro.
(Fabrizio Caramagna)

L’uomo è solo un errore di calligrafia corretto dalla morte.
(Fabrizio Caramagna)
 
  Una persona che sa scrivere una lunga lettera con facilità non può scrivere male.
[A person who can write a long letter with ease, cannot write ill].
Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, 1813

A ogni lettera di creditore, scrivere cinquanta righe su un argomento extraterrestre e sarete salvi.
Charles Baudelaire, Razzi, 1855/62 (postumo 1887-1908)

Il telefono, il fax, Internet non supereranno mai in bellezza romanzesca le care vecchie relazioni pericolose di uno scambio epistolare.
Frédéric Beigbeder, L'amore dura tre anni, 1997

C'è una prova molto semplice per vedere se una lettera è bella. Se leggendola ci sembra di sentir parlare chi l'ha scritta, vuol dire che è bella.
Arthur Christopher Benson, Along the Road, 1926

Busta. È la bara di un documento, il fodero per una fattura, il guscio di un mandato di pagamento e la camicia da notte di una lettera d'amore.
Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911

Poscritto. La sola parte della lettera di una signora che valga la pena di leggere, se si va di fretta.
Ambrose Bierce, ibidem

Non c'è come sigillare la busta per farsi venire nuove idee.
Arthur Bloch, Legge della lettera, La legge di Murphy II, 1980

La lettera d'amore che ti sei finalmente deciso a spedire arriverà sufficientemente in ritardo per permetterti di fare lo scemo di persona.
Arthur Bloch, Leggi di Arthur sull'amore, La legge di Murphy II, 1980

Se non scrivi per lamentarti, il prodotto che hai ordinato non arriverà mai. Se scrivi per lamentarti, il prodotto arriverà prima che la tua lettera giunga a destinazione.
Arthur Bloch, Legge di Savignano sul mailing, La legge di Murphy II, 1980

Ti ricorderai di imbucare una lettera nel posto più lontano da tutte le cassette delle lettere della città.
Arthur Bloch, Legge di Howden, La legge di Murphy III, 1982

Quando non ricevi mai lettere d'amore, devi far finta che qualsiasi cosa sia una lettera d'amore.
Charlie Brown, in Charles M. Schulz, Peanuts, 1950/2000

Niente fa più eco di una cassetta della posta vuota.
Charlie Brown, ibidem

Come la lettera rubata di Poe, la verità di un aforisma era sotto gli occhi di tutti, ma nessuno ci aveva guardato.
Gesualdo Bufalino, Bluff di parole, 1994

La maggior parte della gente è molto più brava a dir le cose per lettera che a voce, e alcuni scrivono lettere artistiche, piene di inventiva, ma quando attaccano una poesia o un racconto o un romanzo diventano pomposi.
Charles Bukowski, Donne, 1978

Uno dei piaceri del leggere vecchie lettere, è sapere che non occorre rispondere.
George Gordon Byron, XIX sec.

Una persona che non ha mai ricevuto una lettera.
Elias Canetti, La provincia dell'uomo, 1973

Quanto abbiamo perso quando abbiamo smesso di scrivere lettere. Non riesci a rileggere una telefonata.
Liz Carpenter

Una lettera, che richiede un'ora per essere scritta, richiede solo 3 minuti per essere letta!
Lewis Carroll

Comunicare per lettera richiedeva tempo, riflessione, brutte copie. Scrivere, comprare il francobollo, spedire, attendere la risposta era molto più complicato che chattare, mandare una mail, scrivere un tweet, linkare qualcosa su Facebook, cliccare un «mi piace»; ma lasciava un segno, fissava un punto fermo, indicava un sentimento maturo.
Aldo Cazzullo, Basta piangere!, 2013

Epistula non erubescit.
[La lettera non arrossisce].
Marco Tullio Cicerone, Epistulae ad familiares (Lettere ai familiari), I sec. a.e.c.

Comincio e ricomincio una lettera, non vado avanti, segno il passo: che dire e come? Non so neanche più a chi fosse destinata. Solo la passione e l'interesse trovano subito il tono giusto. Per sventura, il distacco è indifferenza al linguaggio, insensibilità alle parole. Ora, proprio perdendo il contatto con le parole si perde il contatto con gli esseri.
Emil Cioran, L'inconveniente di essere nati, 1973

Il pensiero della precarietà mi accompagna in ogni circostanza: stamane, imbucando una lettera, mi dicevo che era indirizzata a un mortale.
Emil Cioran, ibidem

Un monaco egiziano, dopo quindici anni di solitudine completa, ricevette dai parenti e dagli amici un grosso pacco di lettere. Invece di aprirle, le gettò nel fuoco, per sfuggire all'aggressione dei ricordi. Non si può rimanere in comunione con se stessi e i propri pensieri se si permette ai fantasmi di palesarsi di imperversare. Il deserto non significa tanto una vita nuova quanto la morte del passato: si è finalmente evasi dalla propria storia. Nel mondo, non meno che nelle tebaidi le lettere che scriviamo, come quelle che riceviamo, testimoniano che siamo incatenati, che non abbiamo spezzato alcun legame, che siamo solo schiavi e meritiamo di esserlo.
Emil Cioran, L'inconveniente di essere nati, 1973

Una lettera degna di questo nome si scrive sotto l’effetto dell’ammirazione o dello sdegno, dell’esagerazione insomma. Si capisce perché una lettera sensata è una lettera abortita.
Emil Cioran, Confessioni e anatemi, 1987

«Sono stupito che un uomo così notevole sia potuto morire» ho scritto alla vedova di un filosofo. Mi sono accorto della stupidità della mia lettera solo dopo averla spedita. Inviargliene un’altra sarebbe stato rischiare una seconda gaffe. In fatto di condoglianze, tutto ciò che non è formula rasenta la sconvenienza o l’aberrazione.
Emil Cioran, ibidem

Avevo scritto due righe assai moderate, molto urbane a qualcuno che non lo meritava affatto. Prima di inviarle, vi ho aggiunto alcune allusioni vagamente intinte nel fiele. Infine, proprio mentre imbucavo la lettera, sentii cogliermi la rabbia e, con essa, un disprezzo per il mio nobile impulso, per il riprovevole accesso di distinzione.
Emil Cioran, ibidem

Non possediamo neppure una lettera di Shakespeare. Non ne ha scritta nessuna? Ci sarebbe piaciuto sentire Amleto lagnarsi dell’abbondanza di posta.
Emil Cioran, Confessioni e anatemi, 1987

Dalla seconda lettera ai Corinti: "Cari Corinti, potevate almeno rispondere alla prima…".
Giobbe Covatta, Parola di Giobbe, 1991

Una casa senza libreria è una casa senza dignità, − ha qualcosa della locanda, − è come una città senza librai, − un villaggio senza scuole, − una lettera senza ortografia.
Edmondo De Amicis, Pagine sparse, 1874

Una lettera è una Gioia Terrena − essa è negata agli Dèi.
[A Letter is a Joy of Earth - It is denied the Gods].
Emily Dickinson

Una Lettera mi è sempre parsa come l'immortalità, perché è la mente da sola, senza compagno corporeo.
Emily Dickinson

Scrivi sempre lettere arrabbiate ai tuoi nemici. Ma non spedirle mai.
James Fallows

Se capisci che la Bibbia è questa lettera di Dio, che parla proprio al tuo cuore, allora ti avvicinerai ad essa con la trepidazione e il desiderio con cui un innamorato legge le parole della persona amata.
Bruno Forte, La Parola per vivere, 2007

Il presentimento è una lettera anonima allarmante che inviamo segretamente a noi stessi.
Angelo Frattini

È incredibile quanto l’e-mail ci abbia cambiato la vita. Recentemente avete ricevuto una lettera scritta a mano nella posta? “Cos'è ’sta roba? È stato rapito qualcuno?”.
Jim Gaffigan

Il pericolo di certe lettere d'amore è che ci facciano innamorare davvero.
Roberto Gervaso, Il grillo parlante, 1983

Le vecchie lettere d'amore si possono anche rileggere, ma guai a rivedere chi ce le scrisse.
Roberto Gervaso, La volpe e l'uva, 1989

Se debbo scrivere una lettera (e sempre mi convinco che debbo), mi avvicino con reverenza alla piccola impresa. È un piacere scegliere parole e frasi che stabiliscano un buon contatto con il corrispondente, parole e frasi che suppliscano al vuoto della distanza e dell'invisibilità. Scrivere una lettera è una piccola, delicata operazione magica. L'interlocutore non c'è, non è presente, come non ci sono l'ambiente dell'incontro, i gesti del dialogo, il sorriso reciproco. Tutto si crea e si ricrea modellando le parole.
Fausto Gianfranceschi, Aforismi del dissenso, 2012

Internet: sostituzione di lettera, penna e abbracci.
Santy Giuliano (Aforismi inediti su Aforismario)

Le lettere d'amore si nutrono di lontananza.
Carlo Gragnani, Si fa per dire..., 1992

Inviare una lettera è un buon modo per andare da qualche parte senza far viaggiare altro che il cuore.
Phyllis Grissim-Theroux [1]

È difficile avere tante sensazioni da poter scrivere più di una lettera al giorno.
Peter Handke, Il peso del mondo, 1978

Leggere lettere d’amore quando non si è innamorati è umiliante. È come essere fuori e guardare dentro.
Patricia Highsmith, Diari e taccuini, 1941-1995 (postumo, 2021)

Un astrologo di un giornale popolare londinese una volta fu licenziato dal direttore con una lettera che cominciava così: «Come lei avrà senza dubbio previsto...».
Christopher Hitchens, Dio non è grande, 2007

Non ho potuto partecipare al funerale, ma ho inviato una bella lettera per dire che l'ho approvato.
Ebenezer Rockwood Hoar, cit. su Boston Post, 1884 [in occasione della morte dell'abolizionista Wendell Phillips - attribuito erroneamente a Mark Twain]

Che cos'è la Sacra Scrittura, se non una specie di lettera dal Dio onnipotente alla sua creatura?
Gregorio Magno, VI sec.

La Bibbia è una lettera personale, indirizzata da Dio Padre a ciascuno dei suoi figli.
Jelien Green

Il fuoco d’amore è talmente verboso che le lettere ardenti sono fatte per essere bruciate.
Roger Judrin, Parole abitate, 1985

Scrivere lettere significa denudarsi davanti ai fantasmi che ciò attendono avidamente. Baci scritti non arrivano a destinazione, ma vengono bevuti dai fantasmi lungo il tragitto.
Franz Kafka, Lettere a Milena, ca. 1920-1923

Credo che le parentesi siano di gran lunga le parti più importanti di una lettera che non sia d'affari.
David Herbert Lawrence, lettera a Blanche Jennings, 1908

Ci facciamo impietosamente beffa di chi ricopia lettere d'amore dagli appositi "manuali" ecc., ma non di chi ogni giorno comunica con Dio con le stesse litanie composte da altri.
Stanisław Jerzy Lec, Nuovi pensieri spettinati, 1964

Se si vogliono rileggere delle vecchie lettere d'amore, è meglio farlo in una stanza senza specchi.
Mignon McLaughlin

Bevvi il mio caffè del mattino e non ebbi nessun brutto presentimento. / Suonò il campanello. Di nuovo non avvertii il male avvicinarsi. / Il postino mi consegnò una lettera. Non sentii trepidazione, la aprii. / Non recava alcuna orribile notizia. / “Aaah!”, urlai. Le mie sensazioni non mi avevano ingannato.
Erich Mühsam, Il presagio, XX sec.

La lettera è una visita inaspettata, e il postino è il mediatore di scortesi sorprese. Si dovrebbe avere per le lettere un'ora ogni otto giorni, e poi farsi un bagno.
Friedrich Nietzsche, Umano troppo umano, 1878

Negli Stati Uniti la rete di conoscenze è sì importante, ma bisogna soprattutto essere in gamba. In Italia invece, nessuno crede che coloro che si affidano alla raccomandazione abbiano anche competenza e merito. È questa la differenza tra una lettera di raccomandazione e una “raccomandazione”. In America, chi scrive la lettera di referenze, si prende la responsabilità di segnalare una persona preparata, non un idiota.
Marco Pacetti, su Washington Post, 2012

Questa [lettera] mi è venuta più lunga del solito perché non ho avuto tempo di farla più breve.
[Je n'ai fait celle-ci plus longue que parce que je n'ai pas eu le loisir de la faire plus courte].
Blaise Pascal, Lettere a un provinciale, 1657

Lettera dal confino. "Ti scrivo sotto dittatura".
Gino Patroni, Ed è subito pera, 1959

Lettera d'amore di dentista. Mia caria...
Gino Patroni, Un giorno da beone, 1969

Lettera dal campeggio: «Carissimo papà, mi $to divertendo un $acco, ma avrei bi$ogno di qualco$a. $e ti viene in mente co$a, $pedi$cimela pre$to, grazie. $aluti$$imi, Jay. La risposta: «Carissimo Jay, soNO contento che tu ti diverta. NOn hai idea di quanto NOi siamo orgogliosi di un figlio così saNO e robusto. Se fai caNOa o giochi a nascondiNO, divertiti un po’ per NOi. Ti salutaNO tutti, Papà.
Bob Phillips

Dovevo lasciare la mia famiglia per andare all'università. Eh sì, i miei genitori organizzarono una gran festa d’addio per me. Secondo quel che dice la lettera.
Emo Philips

La lettera di raccomandazione è quella che consegniamo a un nostro scocciatore, perché vada a scocciare un altro.
Pitigrilli

Una lettera d'amore. Nessun genere epistolare è meno difficile: ci vuole soltanto dell'amore.
Raymond Radiguet, Il diavolo in corpo, 1923

Perché una lettera d'amore sia ciò che deve essere, bisogna cominciarla senza sapere che cosa si dirà e terminarla senza sapere che cosa si è scritto.
[Pour qu'une lettre d'amour soit ce qu'elle doit être, il faut la commencer sans savoir ce qu'on dira et la finir sans savoir ce qu'on a dit].
Horace Raisson, Le livre de l'amour, 1858

Scrivere lettere da parte di un uomo o di una donna indaffarati è la quintessenza della generosità.
Agnes Repplier

Le lettere d'amore provocano emozione solo nel cuore che ispira e condivide il fuoco che le ha dettate.
George Sand,  La contessa di Rudolstadt, 1843

La bellezza è una lettera di raccomandazione aperta, che ci accattiva anticipatamente gli animi.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851

Clii desidera scoprire il proprio autentico atteggiamento nei riguardi di una persona, stia attento alla prima impressione che gli produce una lettera non ancora aperta, arrivata per posta dalla persona in questione.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851

Se i ritratti dei nostri amici assenti ci sono graditi, perché rinnovano il ricordo e alleviano la nostalgia con un falso ed effimero conforto, tanto più ci è gradita una lettera, che porta le vere tracce, i veri segni dell'amico assente.
Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65

La sensazione più dolce che si prova alla presenza di un amico, il riconoscerlo, ce la dà l'impronta della sua mano nella lettera.
Lucio Anneo Seneca, ibidem

Le lettere d'amore possono essere lette solo da due persone.
Ivan Turgenev, Una lettera, 1856

Il desueto – ma neppure tanto – “egregio” col quale si usa iniziare certe missive, suscita il sospetto che il mittente, in maniera un po’ ipocrita, consideri il destinatario come individuo che si distingue dal gregge; di sicuro, è la sua ingenua ammissione del fatto che egli considera la maggior parte della gente nient’altro che gregge.
Giovanni Soriano, Malomondo, 2013

In generale, è una regola: più la carta e l'ortografia sono cattive, più la busta è sporca, più il contenuto è serio e importante.
Lev Tolstoj

Chi scrive bene una lettera di raccomandazione, non sempre riesce bene a a dettarne una di consiglio.
Giansante Varrini, in Opere del conte Giulio Perticari, 1856 (prefazione)

In una società onesta, diffido delle persone mascherate; e sostengo che le lettere e gli articoli anonimi possono essere egualmente pericolosi e favorire la viltà. Sono per la responsabilità personale e la lotta a viso scoperto e ritengo che la stampa potendo fare tanto male quanto bene ha bisogno d'essere resa responsabile.
Henri-Frédéric Amiel, Diario intimo, 1839/81 (postumo, 1976/94)

Nella vita non si può mai essere sicuri di nulla. Giulio aveva sempre creduto di aver sposato una troia, invece ha ricevuto una lettera anonima con le prove che sua moglie è una santa donna. Adesso per lo choc sono tre notti che non chiude occhio.
Romano Bertola, Includetemi fuori, 2003

Tu vuoi scrivere una lettera anonima, – e sta bene. Ma devi avere almeno il coraggio di firmarla col tuo nome e cognome.
Libero Bovio, Scritti vari, 1971 (postumo)

Sono sempre gli stupidi, più dei malvagi, a combinare i guai grossi. Magari con una sola parola, un gesto, una lettera anonima, un pettegolezzo, una telefonata.
Vittorio Buttafava, La vita è bella nonostante, 1975

In una camera da letto, ai giorni nostri.
IL MARITO (giungendo improvvisamente, trova LA MOGLIE intenta a tradirlo con uno sconosciuto): "Ah, infame, dunque non mentiva la lettera anonima, da me ricevuta un'ora fa: tu hai un amante!".
LA MOGLIE: "E tu stai a credere alle lettere anonime? Andiamo!".
Achille Campanile, Tragedie in due battute, 1925

Le lettere anonime sono una provvidenza. Data la fondamentale vigliaccheria umana, è provvidenziale che si possa far risapere una cosa o dare un consiglio senza arrischiar nulla.
Federico De Roberto, Documenti umani, 1888

Il presentimento è una lettera anonima allarmante che inviamo segretamente a noi stessi.
Angelo Frattini 

La lettera anonima ha questo di bello: si fa rileggere.
Roberto Gervaso, Il grillo parlante, 1983

La denuncia anonima è ammissibile solo quando chi la scrive non è davvero nessuno.
Stanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati, 1957

Io mi ricordo che una volta, quando ancora non c'erano queste diavolerie arrivavano le lettere anonime. Le abbiamo ricevute anche io e i miei amici. La lettera anonima si stracciava. Non diventava uno strumento di comunicazione.
Dacia Maraini, intervista di Lidia Vitale, su Cinisi Online, 2014

Non c’è mai uno sciopero dei Postini contro le lettere anonime.
Marcello Marchesi, Il malloppo, 1971

Il moralista borghese è l'uomo della lettera anonima.
Mario Mariani, Per l'ultima volta, 1922

La lettera anonima è una forma di prezioso artigianato, si comincia da bambini con i fogli di quaderno, fino ad arrivare a esemplari pregiati, vergati da mani maestre.
Marcello Mastroianni, in Pietro Germi, Divorzio all'italiana, 1961

Quando uno di noi vince al Superenalotto si trincera nell'anonimato. Mica lo fa per non pagare le tasse: sarebbe un modo di ragionare da VIP; oltretutto sbagliato, perché sulle vincite al Superenalotto le tasse non si pagano. Semplicemente non vogliamo stuzzicare l’invidia di amici e parenti, che ci lancerebbero un malaugurio così potente da costringerci a dilapidare la vincita in medicine e ospedali.
Gianni Monduzzi, Falliti e contenti, 2013

A cominciare da una certa età, ogni parola mordace pronunziata, ogni lettera anonima inviata, ogni calunnia propalata ti fa guadagnare mesi sulla tomba perché esaspera la tua vitalità. La cattiveria conserva, come l'alcool.
Henry de Montherlant, Gli scapoli, 1934

Posto che qualcuno abbia avuto a soffrire per una maligna lettera anonima : la cura abituale è quella di liberarsi della propria sofferenza arrecando dolore a qualcun altro. Noi dobbiamo smettere questa sciocca specie di antichissima omeopatia : è chiaro che, nel caso supposto, se uno scrive subito una lettera anonima, con la quale procura un beneficio o una gentilezza a un altro, potrà anche guarire della sua sofferenza.
Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi, 1869/89

C'è più verità in una lettera anonima che in un proverbio cinese.
Nicola Parigi (Giuseppe Maffioli), in Ettore Scola, Il commissario Pepe, 1969

Da tempo non si scrivono più lettere anonime: richiedono una sensibilità d'animo che oggi è pressoché scomparsa.
Mauro Parrini, A mani alzate, 2009

Mai rispondere a una lettera anonima.
Laurence Peter [1]

Una recensione anonima non ha più autorità di una lettera anonima, e perciò dovrebbe essere accolta con la stessa diffidenza con la quale si accoglie una lettera anonima.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851

Analfabeta: "Devo scrivere una lettera di carta...".
Totò [che per campare scrive lettere su dettatura] Lei è ignorante?
Analfabeta: "Sì".
Totò: "Bravo! Viva l’ignoranza! Tutti così dovreste essere! E se ha dei figlioli non li mandi a scuola per carità! Li faccia sguazzare nell'ignoranza!
Analfabeta: "Io tengo un nipote... Devo scrivere una lettera a lui!".
Totò: "Quanti anni ha questo compare?".
Analfabeta: "Quarantacinque...".
Totò: "Quarantacinque? (tira fuori una lettera già scritta) Questa va benissimo... Vede, noi le lettere le scriviamo prima, di modo che quando arriva una persona guadagniamo tempo... Lui ha quarantacinque anni?".
Analfabeta: "Sì".
Totò: "Perfetto! Questa lettera io l’ho scritta tre anni fa per un signore che ne aveva quarantadue".
Totò (Antonio De Curtis), in Miseria e nobiltà, 1954

Un sogno non interpretato è come una lettera non letta.
Talmud,  I-V sec.

C'è più verità in una lettera che in cento discorsi.
Anonimo

Eccellentissimo, Eminentissimo, Illustrissimo, Onorevole: tutti aggettivi da non prendere alla lettera.
Anonimo

Una lettera d'amore non arrossisce.
Anonimo [cfr. citazione di Cicerone]

Un gran signore, che stimavasi buon pensatore, soleva dire: «A persona mal nota darei piìi volentieri una lettera di cambio che non una lettera di raccomandazione. Con la prima esporrei solo il mio credito; con la seconda impegnerei l'onore».
Anonimo

Donna legge una lettera
C'è più verità in una lettera anonima che in un proverbio cinese. (Giuseppe Maffioli)

Proverbi sulla Lettera

    Bocca chiusa e lettera sigillata non tradiscono segreti.
    Chi ha cuore ha anche carta.
    La lettera non ride.
    La lettera parla.
    Lettera fatta, fante aspetta.
    Lettere, preghiere e pianti bucano cuori duri come diamanti.
    Non ogni lettera va alla posta, non ogni domanda vuole risposta.
    Un bel vestito è una lettera di raccomandazione.


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